Non costituisce novità il fatto che qualche piccolo gioiello si nasconda fra quella che, solitamente, è etichettata come produzione di serie B. E’ il caso di Vanishing on 7th Street (Svanire nella 7ma strada) che Brad Anderson, regista quarantasettenne americano, ha costruito prendendo a piene mani dai tòpoi più noti del cinema fanta - horror, in particolare da quelli che popolano il filone imperniato sulla scomparsa improvvisa dell’umanità – salvo poche, inspiegabili, eccezioni – e la sua sostituzione con un universo minaccioso, popolato da morti viventi o da fantasmi aggressivi. In un cinema di Detroit manca la corrente e, quando ritorna, il proiezionista scopre di essere rimasto solo: degli altri, addetti e spettatori, sono rimasti solo i vestiti o i contenitori dei popcorn.
Stessa sorte quella di un giovane giornalista televisivo che si sveglia nel lussuoso condominio in cui abita dove tutti sono scomparsi. Analogo destino per un ragazzo giovane di colore che aspetta per ore la madre in un bar, di una bambina che compare saltuariamente sulla scena e di una dottoressa, anch’essa di colore, che si ritrova sola nell’ospedale in cui lavora, tranne un malato sotto i ferri che morirà quasi subito. Attorno a questa pattuglia residua dell’umanità c’è un universo di ombre minacciose che possono essere tenute a bada solo piroettando su di loro forti luci. La conclusione sarà tragica e, a un tempo, intessuta di un filo di speranza con i due protagonisti più giovani che si allontano dalla città su un cavallo mentre le ombre della notte iniziano a prendere possesso del panorama. I riferimenti al cinema di genere sono davvero numerosi, si va da L'ultimo uomo della Terra di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow (The Last Man on Earth, 1964) a The Road di John Hillcoat (2009) a Io sono leggenda (I Am Legend, 2007). Ciò che rende interessante quest’ultima versione è la capacità della regia di tenere saldamente in mano le molte suggestioni cinefile e farne un racconto teso e, in qualche tratto (il finale) abbastanza originale.
