Opera prima di Augusto Zucchi, buon attore e regista teatrale di grande esperienza, è film curioso ma non riuscito. La voce - Il talento può uccidere dimostra come, soprattutto se manca ancora esperienza filmica, sia meglio affrontare temi più semplici con una narrazione meno contorta: questo aveva fatto, con grande bravura, Rocco Papaleo nel suo bel Basilicata: Coast to coast (2010) e qui protagonista nel ruolo dell’imitatore che riesce a impossessarsi di qualsiasi voce ascolti ma questa dote gli fa perdere il contatto con se stesso e teme sempre più di perdere la propria identità tanto da concentrarsi con intensità sull’immagine che ripropone nello specchio temendo di non vedersi mai più.
Preoccupato, si rivolge a uno psicanalista che, ricattato dai servizi segreti, lo coinvolgerà in un losco affare, promettendogli il successo a lungo desiderato in televisione, dove non è mai stato ospite dovendosi accontentare di un triste piano bar. Quando iniziano a essere uccise delle persone che lui aveva imitato per ordine dei suoi ormai padroni, la sua salute mentale peggiora anche perché capisce che è difficile uscire dalla spirale di violenza che lui ha aiutato ad innescare. Tutta la storia la conosciamo attraverso i dialoghi della figlia dell’artista con lo psicoanalista che dapprima nega il suo coinvolgimento per poi confessarsi con lei quasi in un rito liberatorio. Il regista si immerge in una realtà fatta di intercettazioni telefoniche, di ricatti, di strane morti per sprofondare negli oscuri meandri di un thriller dai conturbanti risvolti psicologici. Purtroppo, questa operazione gli riesce solo in parte; oltretutto, la sua origine teatrale è fin troppo presente nella costruzione della vicenda e nella recitazione rallentando non poco i ritmi narrativi. L’immagine dell’imitatore da ragazzo si presenta come un tormentone e quale unica giustificazione di questa sua crisi esistenziale, la cantante e collega di cui è innamorato raffigura il suo desiderio di vita ma lei è legata alla prima morte per cui lui viene coinvolto, la figlia è poco credibile nel ruolo di chi vuole iniziare a conoscere il genitore dopo la morte poiché prima non lo aveva mai capito, lo psicoterapeuta è troppo personaggio centrale per avere a disposizione un dialogo che a un conoscitore di psicologia suona troppo falso, il funzionario dei Servizi Segreti conferma la poca credibilità nelle ultime scene quando è minacciato con una pistola. Il cineasta studia molto, troppo le inquadrature che usano l’ombra per raccontare l’espressività dei volti, Rocco Papaleo dimostra ancora una volta di essere bravo indipendentemente dal film e dal personaggio in cui opera, la spia Matteo Sbragia è quanto di meno credibile si possa immaginare. Nei titoli di coda si dice che i personaggi sono di fantasia, ma nel trailer si afferma che il film è ispirato a fatti realmente accaduti. La pesante presenza delle immagini di Alighiero Noschese, morto suicida, generosamente donate dalla Teca della Rai, fanno immaginare che quella, quantomeno, sia stata una fonte di ispirazione. Verità e finzione si intrecciano fino a confondersi, il mito di Alighiero Noschese proietta la sua tragica ombra sul personaggio, che è destinato a ripercorrerne in parte le sue orme.