Quella dell’informatore medico è una delle professioni più ambigue e complicate. Ufficialmente il suo comito dovrebbe essere quello di presentare ai medici i nuovi prodotti realizzati dalla ditta per cui lavora, in realtà ha il compito di indurre dottori e professori a prescrivere quelle medicine in quantità significative, spesso al posto di altre di efficacia maggiore e costo minore.
E’ questo il compito di Bruno, laureato in veterinaria, che da anni corteggia e corrompe medici compiacenti offrendo loro viaggi per pseudo congressi ospitati in località esotiche, telefonini e computer, cene e, se il caso, prostitute. Il venditore di medicine di Antonio Morabito lo coglie dopo che ha precorso questa strada per molto tempo, ma ora è giunto ad un punto di svolta. I dirigenti della società per cui lavora (la Zafer, il cui logo è scritto in maniera da ricordare una delle maggiori aziende sul mercato) non sono contenti dei risultati di bilancio e pretendono utili maggiori. Incaricata di scaricare i pesi morti e spronare gli altri è una capo area brutale che urla insulti e strapazza quelli che producono poco, i venditori di medicine i cui dottori prescrivono pochi farmaci. Il mondo in cui s’inserisce il lavoro di questi veri e propri lenoni non è meno violento e corrotto: medici che si fanno da galoppini a candidati alle elezioni, primari che si dicono incorruttibili, ma non esitano a depredare l’ospedale in cui lavorano, sanitari che si fanno complici dei superiori in veri e propri furti. Antonio Morabito disegna un quadro cupissimo del mondo medico, un settore in cui sembra che l’ultima cosa di cui tener conto sia la salute dei pazienti. In questo quadro sconfortante s’inserisce anche la vicenda personale del protagonista che, per impedire alla moglie di avere un figlio, le somministra a sua insaputa dosi massicce di anticoncezionali sino a comprometterne la salute. Questa seconda parte del film è quella meno interessante, la più piattamente melodrammatica e la meno collegata al complesso del discorso. In altre parole i momenti migliori dell’opera li si colgono nella denuncia civile, mentre il quadro individuale appare banale e prevedibile. Questo è il quarto film di un cineasta attivo anche come sceneggiatore e direttor della fotografia, un nome da tenere d’occhio.