E' una melanconica riflessione sull’esistenza e la vecchiaia quella avviata dalla veterana cinese Ann Hui in A simple life (Tao jie - Una vita semplice). La regista ricostruisce il tenero e doloroso rapporto fra un cineasta famoso e la domestica (amah, termine che anticamente indicava le schiave di casa) che l’ha allevato e curato durante la convalescenza per un difficile intervento al cuore. Ora l’anziana è stata colpita da un infarto e ha perso parzialmente l’uso della parte sinistra del corpo, il figlioccio le paga il ricovero in una casa per anziani – per la verità più simile a un lager che a un luogo di riposo - va a trovarla regolarmente e la accompagna sino alla tomba, dopo che un secondo infarto l’ha resa in pratica incapace di governare se stessa.
Il film, nato da riflessioni autobiografiche, ha un andamento lento e un taglio dolce e doloroso, scandaglia con attenzione e partecipazione le relazioni fra un giovane e l’anziana che gli ha dedicato la vita intera. E’ un film molto bello, forte nei sentimenti che non usa in maniera ricattatoria verso lo spettatore, preferendo guidarlo alla riflessione sulla bellezza e tragicità della vita. E’ una riflessione sulla vecchiaia e sui rapporti fra generazioni che guarda lucidamente allo scorrere del tempo e allo spegnersi della vita.