Alina Marazzi prosegue in un cinema in cui i temi autobiografici sono alla base delle storie narrate. In Tutto parla di te la regista, che è nata col documentario, racconta,con tecnica ,mista di una donna ormai anziana che torna a Torino decisa ad affrontare il suo passato. Le ricerche sulla depressione post partum la portano a conoscere una giovane ballerina che si sente svuotata dopo la nascita del figlio.
L’amicizia tra le due permetterà alla prima di affrontare un suo tragico segreto e alla seconda di ritrovare se stessa. Ottime interpreti Charlotte Rampling ed Elena Radonicich, ma la regia non riesce a connettere in maniera valida le varie anime del film, creando un ibrido che non soddisfa. Non si ripete il miracolo della cineasta, che in Un'ora sola ti vorrei (2002) e Vogliamo anche le rose (2007), raccontava il suo privato e lo straformava, come per magia, in storia universale valida per molti. Poco interesse per il mondo maschile, tantissimo per quello femminile che è raccontato con grande sensibilità. Anche nel documentario Per sempre (2005) si era occupata di donne, donne che decidono di abbandonare la vita da laiche per divenire suore. Nei primi due titoli si era messa completamente in gioco, senza pudore, offrendo le sue esperienze, le immagini private; soprattutto nel primo, montando filmini girati nell'arco di trent'anni dal nonno, l’editore Hoepli, assieme ai diari e ai dischi preferiti della madre, suicidatasi nel 1972 quando lei era bimba, e cercava di ricostruirne la vita e le ragioni di quel gesto così tragico e inspiegabile, soprattutto per una figlia rimasta orfana. Qui dirige il suo vero, primo film di fiction anche se non rinuncia ai suoi video privati, a foto imprestate da amiche, all’animazione. Charlotte Rampling è Anita, la donna ormai matura che cerca di capire perché la madre avesse deciso di suicidarsi mettendo in pericolo anche la sua vita e quella del fratellino. Il dato autobiografico si unisce alle vicende di tante donne intervistate in vari centri che vivono il dramma di maternità desiderate e, nello stesso tempo, rifiutate. Ha inserito anche l’intervista a Mary Patrizio, la giovane mamma che nel 2005 aveva annegato nel bagnetto il suo bambino di soli 5 mesi, tratta dalla trasmissione di Rai 3 Storie Maledette (puntata del 12 settembre 2009), caso estremo di rifiuto (o di timore, mai coscientemente accettato) della maternità. Tuttavia qualcosa non funziona, manca l’interesse per brevi interviste a madri in crisi, piacciono le animazioni create da Beatrice Pucci con bravura ma hanno poco a che fare col resto. Si ha la sensazione che la regista, capace di trattare la materia con distacco nel campo del documentario, quando ricostruisce e fa interpretare ad altri i suoi traumi, ne rimane troppo coinvolta. Una curiosità, lo scorso anno a Torino è stato realizzato Vacuum firmato da Giorgio Cugno che si occupa anche lui del dramma del post partum, storia di una donna che si sente svuotata della sua personalità. Anche lui, come questa cineasta, aveva realizzato parecchie interviste a madri in crisi. Costato meno di 10.000 euro, quel film ha partecipato a vari festival del livello di Karlovy Vary, Valladolid a quello del del Cinema Europeo di Lecce dove aveva vinto il premio FIPRESCI, con questa motivazione: il regista, nonostante i limitati mezzi finanziari, è riuscito a raccontare (…) un tema difficile e delicato come la depressione post partum, evidenziando misura e rigidità espressiva, narrazione sicura, valorizzando le eccellenti doti di attrice di Simonetta Ainardi, la protagonista. Peccato che a tutt’oggi non abbia ancora trovato una distribuzione e che sia stato visto solo dal pubblico dei festival.