Ex Machina è l’opera prima dell’inglese Alex Garland che affronta un tema di fantascienza già sfruttato altre volte, ma lo fa con un gusto per le immagini e una precisione nei caratteri degni di nota. Un programmatore di computer, giovane e geniale, è scelto da una sorta di inventore alcolizzato e, quantomeno, eccentrico per partecipare ad un esperimento in cui si verificherà la reattività sentimentale di alcune donne androidi da lui create.
La cosa avviene in un edificio fantascientifico, immerso nella natura e praticamente inaccessibile sia per volontà del proprietario, sia perché del tutto isolato dal resto del mondo. L’esperimento ha un esito tragico in quanto l l’esemplare più avanzato delle donne meccaniche reclama un’esistenza piena, si ribella al creatore e allo sperimentatore, uccide il primo e rinchiude il secondo no nel maniero per avviarsi liberamente alla vita. Dicevamo che il tema non è nuovo, basti pensare alle storie del Golem e di Frankenstein, ma a fare la differenza è l’umanissima partecipazione del regista al destino di queste macchine desiderose di emozioni e vita. Potremmo dire che la forza del film è nel rovesciamento del canone tradizionale che vuole l’automa sfuggire al controllo del suo creatore per desiderio di potenza e non per scelta vitalistica. Un elemento di pregio aggiuntivo è nella precisione e purezza fotografica dei paesaggi e delle scenografie che contrappongono e alternano la bellezza incontaminata dei luighi naturali all’algida e disumana perfezione degli interni avveniristici.