Difficile realizzare film in costume che non risentano pesantemente del peso per la cura dei particolari storici e che riescano a raccontare in maniera lieve e funzionale una storia, soprattutto sentimentale, senza creare noia. Alan Rickman, attore di buon livello ma regista ancora da formare, ha voluto tentare questa avventura uscendone sconfitto. La corte di Re Sole, i banchetti, i musicisti di corte, le ricostruzioni perfette appesantiscono in maniera notevole la narrazione, creando un polpettone in cui difficilmente si risvegliano nello spettatore momenti d’interesse.
Con Le regole del caos il regista, a 17 anni da L’ospite d’inverno (The Winter Guest, 1997), si è innamorato di questo soggetto, propostogli come attore, e ha ottenuto di esserne anche regista nonché interprete e co - sceneggiatore. Nulla da eccepire per la sua interpretazione del malinconico Re Sole che suona un po’ di maniera ma è funzionale, molte ombre nella direzione di un cast a dir poco interessante da cui non riesce a far scaturire emozioni. Kate Winslet, a cui non donano le gonne larghe che erano il modo di vestire del seicento, è la mater dolens che si considera colpevole della morte della amata figlia poiché ha bloccato la carrozza in cui il marito la stava forse rapendo e ne ha provocato la tragica uscita di strada. E’ un architetto di giardini, inventiva ma senza studi alle spalle, scelta dall’artista di corte per creare nella nuova reggia di Versailles una fontana di pietra particolarmente originale che dovrà servire anche come magica sala da ballo. Il suo amore per l’uomo, che ha accettato mille compromessi per potere essere stimato a Corte, è il filo conduttore del film. La sceneggiatura di Alison Deegan è scritta con profonda conoscenza del periodo storico rappresentato, dal linguaggio utilizzato, e della prospettiva sua personale offerta sul rapporto tra donne e uomini. Su questo suo lavoro si è sviluppato l’intervento degli altri due coautori. Si parla dei nobili come infelici che accettano tutto pur di non perdere i privilegi, schiavi del Re che a loro può chiedere ed imporre qualsiasi cosa, compreso che la loro moglie diventi una delle sue amanti. Peggio ancora per le dame che non hanno nemmeno diritto di parlare e che hanno creato un salotto segreto in cui potere confidarsi, piangere i propri dolori, sentirsi vive. Qui verrà accolta, e considerata come una di loro, la bohemien Sabine; saranno loro, con trame segrete, a renderla ancora più importante nel ambito del mondo del Re Sole. La regista si attiene allo scritto iniziale di Alison Deegan alla cui ulteriore stesura ha collaborato lui stesso assieme a Jeremy Brock. Seguendo questa strada non riesce mai ad ottenere dagli interpreti una lettura non banale dei vari personaggi che sono più rappresentati che non resi nella loro interiorità. Siamo di fronte a un bel quadro manierista in cui tutto appare bello ma nulla trasmette momenti da ricordare. La regista, con un passato non brillante di attrice televisiva, qui era al suo primo script che ha realizzato pensando troppo al femminile, senza riuscire a creare una parità narrativa coi personaggi maschili. Jeremy Brock è intervenuto soprattutto sulla struttura ma senza mai osare più di tanto. Aveva già scritto un discreto film quale L'ultimo re di Scozia (The Last King of Scotland, 2006) di Kevin Macdonald, aveva collaborato anche al mediocre The Eagle (2011) e ha proseguito con lavori non certo esaltanti: metterlo come coordinatore di due sceneggiatori con poca esperienza è stato un errore.
