Il cinema francese si sta dimostrando particolarmente ricco di commedie intelligenti e ben scritte. Una caratteristica di rilevo, se paragonata alla produzione ridanciana di altri paesi, il nostro compreso, ove l’umorismo è basato per buona parte sulle parolacce, la volgarità, gli ammiccamenti sessuali, la scatologia. Non sposare le mie figlie, pessimo titolo imposto dal distributore italiano al posto del più pertinente francese: che cosa abbiamo fatto a Dio (per meritarci tutto questo), di Philippe de Chauveron mescola con abilità situazioni farsesche, graffiate antirazziste, bonaria presa in giro degli stereotipi che segnano i vari caratteri nazionali.
La famiglia Verneuil ha tutte le caratteristiche per rappresentare un focolare agiato medio borghese che vive in provincia. Abitano una bella dimora a più piani immersa nel verde, lui è notaio, lei una casalinga cattolica. Hanno concepito quattro figlie, ormai adulte, una delle quali è andata sposa a un ebreo, un’altra a un arabo, la terza a un cinese. Tutti cittadini francesi con buoni redditi, ma che non soddisfano appieno le aspettative dei suoceri che vorrebbero vedere la quarta ragazza maritata a un buon cattolico. Quando quest’ultima informa i genitori che sta per sposare un cristiano, la festa è grande, ma euforia è spenta quasi subito dalla scoperta che il prescelto è un attore ivoriano che ha alle spalle un genitore, ex militare, che detesta i bianchi. Il film si sviluppa prendendo bonariamente in giro le immagini dei vari gruppi etnici alterando situazioni trattate con mano lieve ed efficace. La sequenza del cane che si mangia la parte di prepuzio tagliata all’infante dell’ebreo e il suocero che seppellisce una fetta di prosciutto al posto del sacro reperto, è fra le migliori del film. In altre parole una farsa piacevole e ben orchestrata.