Paul Schrader (1946) è un cineasta americano dal percorso decisamente tormentato. Come sceneggiatore ha firmato alcuni dei film mito del cinema di quella nazione, da Yakuza (1975, regia di Sydney Pollack) a Taxi driver (1976, regia di Martin Scorsese), da Toro scatenato (Raging Bull, 1980 ancora a firma di Martin Scorsese) a Mosquito Coast (1986, regia di Peter Weir). Come regista esordisce nel 1978 con Tuta blu (Blue collar) suscitando interesse e perplessità per la posizione antisindacale veicolata dal film.
Il suo cinema, da quel momento in poi, guarda con particolare interesse ai sensi di colpa e al conflitto morale in cui si dibatte l’uomo moderno. Partendo da queste premesse c’era molta attesa per Il nemico invisibile (Dying of the Light - Luce morente -, 2014) un film originalmente molto problematico sulla Cia e sul suo mondo etico. Purtroppo la produzione ha manipolato pesantemente l’edizione in distribuzione, costringendo il regista e sceneggiatore, il produttore esecutivo Nicolas Winding Refn e gli attori Nicolas Cage e Anton Yelchin a disconoscerla. Così come si presenta è diventato una sorta di apologia dell’operato dell’agenzia spionistica americana e, particolarmente nel pistolotto conclusivo, una sorta di manifesto a favore delle posizioni politicamente più conservatrici. E’ un vero peccato perché, in questo modo è stato annullata ogni problematica reale e trasformato il lavoro del regista in una sorta di comizio propagandistico. La storia è quella di un anziano impiegato della CIA, Evan Lake, che quando agiva sul campo era stato catturato e torturato pesantemente, porta ancora i segni delle sevizie in un orecchio deforme, da un terrorista mussulmano poi dato per morto. Lui, al contrario, è convinto che sia ancora vivo e non si darà pace sin che non lo rintraccerà e ucciderà con le sue mani.