Pietà (Pieta), vincitore del Leone d’Oro alla recente Mostra del Cinema di Venezia, è il diciottesimo film del coreano Kim Ki-duk, un cineasta il cui lavoro spazia dai temi religiosi (Bom yeorum gaeul gyeoul gurigo bom – Primavera estate autunno inverno … e ancora, 2003), ai drammi psicologici (Samaria – La Samaritana, 2004) non trascurando argomenti apertamente politici (Hae anseon – La guardia costiera, 2002). In tutto questo girovagare ha sempre mantenuto ferma una linea poetica ben precisa: non c’è premio per i peccatori, nessuna redenzione attende i malvagi, anche se si pentono sinceramente delle loro azioni.
Potremmo definirla una morale piuttosto protestante che buddista e la ritroviamo anche in quest’ultimo lavoro in cui si raccontano i giorni e le cattive azioni di un giovane incaricato da uno strozzino di recuperare prestiti concessi a interessi esosi. E’ un tipo che non si ferma davanti a nulla e storpia chi non può pagare, fracassandogli gambe e braccia. Per tutelarsi ha fatto sottoscrivere a ogni debitore una polizza assicurativa favore del creditore, in modo che il rimborso causato dalla menomazione copra quanto dovuto. La su fama è così diffusa che uno dei debitori si uccide – è l’inizio del film – anziché subire le sue angherie. Lo sfrondo è un quartiere di casupole in cui vivono e lavorano modesti artigiani, uno spazio assediato da grattacieli e mastodontici centri commerciali. Un giorno arriva da lui una donna che dice di essere sua madre e di averlo abbandonato appena nato perché costretta da insormontabili difficoltà economiche. Il picchiatore dapprima la respinge, poi inizia ad apprezzate la presenza di qualcuno che si prenda cura di lui disinteressatamente. Alla fine scopriremo che non si tratta di sua madre bensì della mamma di una delle vittime e ha ordito una sottile vendetta. Il film abbonda d’immagini violente, quasi oltre la sopportazione fisica, com’è nello stile di quest’autore. Sangue e violenza sono posti al servizio di un discorso che ruota attorno all’incancellabilità della colpa, l’impossibilità di porre rimedio a ciò che si è fatto. E’ un film forte, violento, meno originale di altre opere di questo cineasta, ma pur sempre un testo apprezzabile e di ottimo livello.