E’ arrivata mia figlia della brasiliana Anna Muylaert racconta una storia dai tratti quasi documentaristi. Al centro della vicenda c’è Val, una matura donna che lavora come cameriera a tempo pieno nella villa di una famiglia bene di San Paolo.
La sua è una presenza quasi familiare che spazia dalle cure e protezione del figlio dei padroni, una ragazzo viziato e sfaticato la cui preoccupazione maggiore e fumare marijuana e farsi collocare dalla matura domestica che lo tratta come un suo figlio. Da parte sua la donna ha una figlia che non vede da più di dieci anni e che ha affidato a una parente a cui manda parte del denaro che guadagna. La ragazza vive nel nord del paese ed ora ha deciso di venire a San Paolo per iscriversi alla facoltà di architettura. La sua presenza nella casa dei facoltosi datori di lavoro della madre funziona come un detonatore vero e proprio, questo perché la giovane non accetta la sottomissione della madre e la pelosa gratitudine dei padroni. Il film esamina questo scarto di mentalità che indurrà lentamente anche la domestica a rivendicare il proprio ruolo di essere umano. Nulla di straordinario, ma una lezione di morale e tolleranza che svela la struttura classista che sorregge l’intera società per ammantata da egualitarismo e bonomia. Un film lineare nella costruzione con un taglio che spesso ricorda quello di un documentario sociale.