Il fumettista belga Georges Prosper Remi (1907 – 1983), in arte Hergé, deve la sua fama soprattutto al personaggio del giovane giornalista Tintin e ai suoi sodali: il terrier Milù, il capitano Haddock e lo scienziato Trifone Girasole. Intellettuale vicino alla destra cattolica, rischiò un processo per collaborazionismo avendo continuato a pubblicare i suoi disegni sulle pagine del quotidiano conservatore Le Soir anche negli anni in cui il giornale era sotto controllo nazista.
In estrema sintesi potremmo dire che il suo mondo è di un certo, vecchio paternalismo cattolico – si pensi, in Italia, ai disegni di Jacovitti (Benito Franco Giuseppe Jacovitti; 1923 – 1997) – non del tutto esente da venature razziste. Nonostante queste scelte culturali il personaggio di Tintin ha affascinato intere generazioni e creato mugoli di fan. Fra questi c’era Steven Spielberg (1946) che ora propone, per la produzione del neozelandese Peter Jackson (1961), Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno girato in motion-capture e in 3D. E’ quel sistema di ripresa in cui, prima, si girano le sequenze con attori in carne ed ossa, poi le si disegnano in modo digitale. La scelta del regista è stata di eliminare dal soggetto quei riferimenti politici che potevano dare addito a contestazioni veleggiando, invece, verso l’avventura pura. In questo senso le avventure cui va incontro il giovane belga assomigliano molto a quelle in cui s’imbatte l’archeologo Indiana Jones, con qualche lieve deviazione verso le storie di pirateria, forse per rendere omaggio alle fortune commerciali dei quattro film legati alla serie I pirati dei Caraibi (La maledizione della prima luna, 2003; La maledizione del forziere fantasma, 2006; Ai confini del mondo, 2007; Oltre i confini del mare, 2011). Ne è nato un film a forte e intelligente valenza commerciale, ma poco ricco dal punto di vista della novità dell’espressione. Piacevole, ma piuttosto banale.
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