Nella campagna canadese uno scrittore avviato al successo investe, in una notte in cui la neve fiocca copiosa, uno slittino su cui due bimbi stanno giocando vicino a casa. Uno resta illeso, l’altro muore. E’ uno di quegli incidenti in cui nessuno o forse tutti hanno colpa: chi guidava la macchina, i piccoli che giocavano quando la sera stava calando, la madre che mon li ha sorvegliati a sufficienza.
Passano gli anni e i vari protagonisti nella storia si portano ancora dentro il dolore per quel dramma anche se, come il romanziere, si sono sposati e godono di una solida carriera. Solo lo scorrere del tempo permetterà a tutti di uscire dal vortice del dolore. Wim Wenders ritorna alla regia di un lungometraggio a dieci anni di distanza da Non bussare alla mia porta (Don't Come Knocking, 2005), non è che, nel frattempo, sia stato in ozio visto che fra documentari, cortometraggi e episodi per film collettivi, ha messo la firma su ben nove opere. Tuttavia questo ritorno al racconto cinematografico lungo era particolarmente atteso. Un’aspettativa che, per buona parte, è andata delusa in quanto ci si trova in presenza di un testo formalmente correttissimo, fotografato in maniera perfetta, ma del tutto privo di quella spinta innovativa che caratterizza le prima opere di questo autore. Non è tanto la flebilità dell’assunto, anche se il tema del senso di colpa avrebbe meritato un’indagine ben più approfondita, quanto la spessa perfezione della confezione a lasciare insoddisfatti. Si aggiunga che la componente attoriale è decisamente al di sotto del necessario, con una Charlotte Gainsbourg che recita in modo sin troppo manierato e un James Franco che sembra capitato sul set per caso. In poche parole il titolo inglese (Andrà tutto bene) rappresenta perfettamente, con il suo ottimismo un po’ manierato, l’essenza del film.