Difficile che questo documentario non lasci trace emotive e un rinforzato desiderio di giustizia, ma non riesce mai a convincere completamente soprattutto per il modo in cui viene santificata in maniera pesantemente agiografica la figura di questa ragazza che ha rischiato di morire per I suoi ideali.
Diretto e realizzato dal cinquantaduenne statunitense Davis Guggenheim, premio Oscar per Una scomoda verità (An Inconvenient Truth, 2006) sulla campagna di Al Gore per risolvere il problema del riscaldamento globale imponendolo come questione mondiale, ricorda sviluppo ne ricorda molto lo stile. Infatti, anche quel personaggio politico ne usciva troppo perfetto e quasi antipatico, e vi era stata una levata di scudi sull’assegnazione del premio che in molti ritenevano solo gratificazione e plauso per l’ex vice presidente statunitense e non riconoscimento di un eventuale valore del lavoro del regista. Malala è sicuramente un buon film ma è non sempre anche un buon documentario e dà l’impressione di essere più trasposizione del libro scritto dalla ragazza che non una corretta documentazione del suo percorso di vita, di impegno sociale, di combattente in prima linea. L’organizzazione che fa capo a questa coraggiosa ragazza vittima dei talebani a soli quindici anni è assolutamente da appoggiare e, probabilmente, attraverso questo film otterrà ancora maggiore notorietà, ma il lavoro del regista statunitense è troppo partigiano, incapace di essere realmente un documentario. Non a caso è distribuito nel mondo da una major statunitense che ha assaporato le possibili ricadute sul box office. Immagini molto belle, sapiente ricostruzione di ambienti familiari in cui la giovane vive, azzeccate messe in scena di genitori ed fratelli quando lei appare in televisione, ma tutto questo non riesce ad essere veramente autentico. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo è il suo messaggio per i posteri, e viene documentato in una delle scene più belle grazie ad un sapiente lavoro registico. Malala Yousafzai aveva quindici anni quando nel 2012 fu vittima dei talebani della Valle dello Swat: le spararono tre colpi di pistola alla testa mentre tornava a casa da scuola, questo perché aveva manifestato pubblicamente fin da piccola il suo desiderio di leggere e studiare. Dopo l’attentato, che l’aveva ridotta in fin di vita e che l’ha costretta a lunghi mesi di cure e riabilitazione aiutata anche dal padre, ha dato vita a un’organizzazione no profit, la Malala Fund, con la quale raccoglie fondi dedicati a progetti educativi in tutto il mondo. Oggi risiede a in Gran Bretagna assieme alla famiglia. Il suo impegno in difesa della cultura e dell’educazione delle donne ne ha fatto, nel 2014, la più giovane vincitrice da sempre del Premio Nobel per la pace.
