Infanzia clandestina è basato su situazioni molto sentite da Benjamín Ávila. Regista, figlio di desaparecidos, ha realizzato di uno dei migliori film sulla dittatura mai creato in Argentina. Opera prima nel lungometraggio – in passato aveva realizzato un documentario su i figli e nipoti degli scomparsi - è basata sulla sua infanzia e la ricerca della propria identità. Racconta la storia dal punto di vista di un undicenne figlio di militanti Montoneros che diventa involontariamente protagonista di una lotta che non ha scelto e che lo segnerà per tutta la vita.
Portato in esilio in Brasile, Messico, Cuba senza mai capirne la ragione, è tornato al paese sotto falsa identità. Il fratello del regista è stato rapito e dato a un'altra famiglia, in quegli anni, e solo nel 1984, grazie al lavoro delle Nonne di Plaza de Mayo, è stato uno dei primi nipoti a essere restituiti alla loro vera famiglia. Una coppia di attivisti in esilio, decide di rientrare in Argentina sotto falso nome insieme ai due figli. Juan è ribattezzato Ernesto e inizia la sua esistenza fatta di bugie e paura. In un ambiente di violenza e soprusi, i genitori rischiano di mettere a repentaglio le vite dei propri, cari spinti dall’amore per il loro paese vessato dai militari. Dal momento in cui il generale Jorge Rafael Videla diventa dittatore, numerosi dissidenti sono torturati e uccisi; alcuni di loro si rifugiano in Cile. La coraggiosa scelta di Cristina e Horacio di continuare a lottare per una patria libera e democratica costringe Juan e la sorellina di un anno a vivere un'infanzia clandestina. Il regista racconta con delicatezza la storia del ragazzo che riesce a trovare una propria identità grazie all’amore per la coetanea Maria, una compagna di scuola e sua complice nella scoperta di un’infantile sessualità. Il bambino vive le stesse emozioni dei suoi coetanei, ma le sue condizioni di vita lo rendono speciale, come lui stesso ammette nell'ultimo giorno trascorso con la bambina. Le relazioni tra i personaggi sono ben costruite senza mai forzare il racconto con situazioni melodrammatiche ma facendo capire attraverso la vita quotidiana, le differenze tra loro e gli altri. L'anziana nonna è preoccupata per la sorte dei nipoti ed è insultata dalla figlia che la considera troppo paurosa. Il finale, mesto ma non triste, chiude un ciclo per Juan che da quel momento si riappropria di un’identità vera. Le scene di violenza sono proposte attraverso disegni a fumetti, con un montaggio veloce e pressante, tanto da dare l’impressione d’immagini animate e non statiche come in realtà sono. Il regista ha dichiarato: penso che le molte storie che raccontavano sulla dittatura abbiano dimenticato di spiegare il lato più umano: la vita quotidiana di quei militanti che erano disposti a sacrificare la vita per i loro ideali e rinunciavano alla loro esistenza per votarsi a quella lotta. Ho voluto raccontare la storia vista attraverso gli occhi di Juan per fare capire cosa fosse la vita di queste famiglie che avevano scelto di rinunciare a ogni cosa per non rinunciare alla libertà del proprio Paese. Una decisione che forse solo ora, realizzando il film, ho realmente capito e perdonato.