Diciamolo subito: Porco Rosso (Kurenai no buta, 1992) del giapponese Hayao Miyazaki, un maestro del cinema di animazione, non è un film solo per bambini e ragazzi. E’ un interessante manifesto di antifascismo e autonomia – intriso di anarchia – ambientato nel mar Adriatico fra la prima e la seconda guerra mondiale, e valido quale presa di posizione in cui politica e poesia si sposano alla perfezione. Porco Rosso è il soprannome di un pilota d’idrovolante, un tempo essere umano, poi, per un misterioso incidente accaduto durante la prima guerra mondiale, trasformato in maiale.
A bordo del suo scintillante monoplano rosso combatte e sconfigge i pirati che infestano quel mare, badando a umiliarli senza mai ucciderli, perché lui è contrario a dare la morte per qualsiasi ragione. Tutto bene sino al momento in cui i cattivi assoldano un pilota americano con il compito di abbatterlo. Il duello, a questo punto, si fa personale anche per l’intervento di una bella signora, cantante in un albergo che funziona un po’ da zona franca. Lei ama riamata il giustiziere suino, ma è concupita dall’americano. Finale con scazzottatura ciclopica e unione fra i due contendenti che si alleano contro l’Aeronautica Militare Italiana che vorrebbe normalizzare anche quel tratto di mare. Quest’aviatore, che il regista ha battezzato Marco Pagot in onore di Nino Pagot (1908 – 1972) maestro dell’animazione e del fumetto italiani, sprezza il denaro – è perennemente in bolletta – e irride fascisti e militari. Il film è denso di citazioni – la scazzottatura finale rimanda a quella fra John Wayne e Victor McLaglen in Un uomo tranquillo (The Quiet Man, 1952) di John Ford – ed è percorso da un vento poetico che si riverbera in paesaggi e immagini di nitida bellezza. In altre parole è una lezione di cinema non naturalista di grande bellezza ed effetto.