Tratto dall’omonimo best seller scritto da David Foenkinos, Il mistero Henri Pick è film gradevole che utilizza anche battute divertenti per lanciare spunti, lasciati qui e lì sotto forma di indizi e domande non evidenziati dal dialogo, indizi che dal microcosmo del mondo del libro riescono ad aiutare ad aprire una finestra sulla società, sulle leggi del mercato che lo reggono e sui tentativi di forgiare e plasmare ogni cosa. Si scopre molto di un mondo artistico in cui spesso emergono non i meritevoli ma chi è più sponsorizzato, chi ha un buon editor che unisce la sua esperienza a quanto scritto dagli autori, chi riesce a creare aspettative inventando a tavolino misteri che attirino l’attenzione pubblica. Studiosi che vengono chiamati ovunque per parlare di qualsiasi cosa (anche in Italia ne abbiamo decine di esempi), personaggi magari colti a cui vengono assegnate trasmissioni in cui è sempre importante tenere viva l’audience. Da qui parte tutta la vicenda raccontata che si snocciola per un centinaio di minuti. Il problema del film è quella certa pedanteria per i particolari, la ricerca di un dialogo che si allontana dal coinvolgimento dello spettatore divenendo opera innegabilmente interessante ma non per questo entusiasmante. La comicità ed il thriller spesso rimangono incompatibili uno con l’altro, creando un po’ di disagio.
Per fortuna che il protagonista è della levatura di Fabrice Luchini, sicuramente uno dei migliori attori d’oltralpe, in grado di rendere affascinante il personaggio e lo fa amare: ma le altre figure, purtroppo, non vivono della stessa magica luce. In un remoto villaggio bretone che si affaccia sull’oceano, una libreria-ricovero ospita tutti quei libri rifiutati o dimenticati, quei testi che nel difficile mercato editoriale hanno avuto un infausto destino; sono presenti un po’ in tutto il mondo anche in certi caffè letterari. Qui, l’ ambiziosa editor di una casa editrice francese scova un manoscritto destinato a diventare un bestseller perché parla di un amore epico con buona dose d’erotismo e passionalità, ricco di rimandi ai romanzi russi. E poi non si sa chi l’abbia realmente scritto perché è attribuito (anzi, è firmato) da un semplice pizzaiolo amato dai suoi compaesani per i suoi impasti deliziosi ma non certo conosciuto per le doti intellettuali: sembra impossibile che per tutta la vita abbia saputo celare questo suo dono persino alla moglie e alla figlia. L’antipatico critico letterario Jean Michel Rouche, sospettando che si tratti di una truffa abilmente architettata indaga con l’inaspettato aiuto della figlia del potenziale scrittore. Ma il suo interesse non è di fare trionfare la verità, solo quello di avere materiale scottante per la il suo programma televisivo, un seguito salotto letterario da cui dipendono le sorti di autori debuttanti o in cerca una conferma del loro successo.