Downton Abbey di Michael Engler nasce da una serie televisiva di 52 puntate che ha avuto un enorme successo sia negli Stati Uniti sia in Gran Bretagna. Siamo nel 1927 e in questa immaginaria residenza nobiliare inglese, arriva una lettera con gli stemmi della monarchia in cui si comunica che re Giorgio V, la Regina Maria di Teck e il loro seguito verranno in visita nello Yorkshire e si tratterranno nel castello per un giorno e una notte.
La notizia getta nel panico sia i nobili proprietari del maniero, sia la servitù. I membri di quest’ultima si arrabbiano ancora di più quanto vengono a sapere che gli illustri ospiti arriveranno scortati da un intero esercito di cuochi, camerieri, lacchè che prenderanno il posto dei servitori stabili della dimora. Nasce una competizione, un vero e proprio scontro con tanto di inganni e trappole che ben sintetizzano una sorta di conflitto di classe fra i residenti e gli stranieri. Non mancano neppure alcune delle peggiori pecche che marcano, allora e per non pochi anni ancora la società inglese. Le più evidenti sono le persecuzioni degli omosessuali (pratica sessuale che sarà depenalizzata solo negli anni Sessanta) che, per il solo fatto di essere tali, erano passibili di denuncia penale. Peccato che su questi temi la serie e il film siano piuttosto reticenti, affrontandoli solo marginalmente, mentre meriterebbero di essere affrontati con rilievo. Ciò che il regista preferisce, invece, è soffermarsi sulla vita della nobiltà e dei servitori, visti tuttavia solo in funzione dei ricchi, quasi a guardare dal buco della serratura un mondo su cui anche oggi prosperano molti giornali scandalistici. Ne emerge un film impreziosito da una scenografia accurata, ma quasi avulsa da un qualsiasi realismo. Un testo prezioso negli arredi, ma quasi inutile per la storia che racconta.
