Andrea Di Stefano è un buon attore italiano con una carriera ultraventennale – era anche tra gli interpreti del film premio Oscar Vita di Pi (Life of Pi, 2012) di Ang Lee – che si mette per la seconda volta dietro la macchina da presa. La sua opera prima è stata molto contestata soprattutto per l’angolazione con cui raccontava la storia di uno dei più pericolosi narcotrafficanti di tutti i tempi, Escobar. Il colombiano era visto in maniera fin troppo bonaria, quasi come un buon padre di famiglia attento alle esigenze del popolo più che un criminale che uccideva e faceva uccidere con inaudita ferocia.
Il film omonimo, con protagonista Benicio Del Toro – in originale Escobar: Paradise Lost (2014) - era comunque di accettabile qualità narrativa nonostante che la sceneggiatura fosse stata rimaneggiata varie volte probabilmente per accontentare i produttori. In questa occasione si ha l’impressione che abbia avuto maggiore libertà tanto da potere mettere mano allo script di Rowan Joffe e Matt Cook basato sul libro del giornalista Anders Roslund e del ex criminale Börge Hellström, mai utilizzata perché il progetto si era bloccato ad una settimana dall’inizio della lavorazione del film. Di Stefano utilizza bene il buon cast che gli è stato affidato e fa una scelta che rende maggiormente drammatica la storia girando molte scene in prigione. Il cambio di location segna anche una svolta nello sviluppo, cambia la ‘morale’ ma non quanto raccontato nel romanzo. Iperealismo per alcune scene d’azione di grande violenza, ma una sceneggiatura che non riesce mai a stupire, a sorprendere. Pete Koslow è un ex soldato addestrato per affrontare operazioni speciali che lavora come informatore per l’FBI per smantellare il traffico di droga della mafia polacca a New York. Quando l’operazione si mette male per la morte di un poliziotto del NYPD sotto copertura Pete è obbligato a tornare a Bale Hill, la prigione in cui era stato detenuto in passato per omicidio, per scardinare il cartello dall’interno.