L’ottavo film di Quentin Tarantino ha un soggetto basato su di un argomento che conosce ed ama moltissimo: il cinema, soprattutto quello della sua infanzia. Ambienta tutto nella Hollywood delle frustrazioni dove un attore televisivo compera una casa per dimostrare di esistere, col suo migliore (forse, unico) amico e stuntman che è anche un po’ il suo tuttofare provvedendo anche alla manutenzione della villa trasformandosi quando serve in autista. Ambedue bevono molto, si drogano, sono insoddisfatti della propria esistenza e, forse, invidiano quella dell’altro. Tarantino propone telefilm e film in bianco e nero rispettando le dimensioni originali quasi a volere dire che quello era il modo giusto per raccontare – il colore viene sopportato e non amato – in maniera più credibile. Specializzato in ruoli da cattivo, il protagonista dà parecchio lavoro alla sua controfigura in scene che a volte sono al limite del suicidio.
Ma si rende conto di non essere più sulla cresta dell’onda e, dopo avere ripetutamente rifiutato gli spaghetti western che ritiene offensivi per il suo profilo d’attore, deve accettare di andare in Italia dove viene diretto da Sergio Corbucci che, come gli viene detto, è secondo solo a Sergio Leone. In questa parte del film Tarantino fa un lungo omaggio di questa forma di cinema che ha sempre citato e che è base di molto suo modo di fare cinema, raccontando sia il dietro le quinte – l’attore è scioccato per la troupe ridotta ai minimi termini, per mancanza di lussuosi camerini, addirittura per un parrucchiere e costumista che si dedichino solo a lui – ma soprattutto per la vita conviviale che c’è nella troupe. Il confronto tra i due modi di realizzare film è davvero ben riuscito, con l’americano che inizia ad amare un mondo dove all’attore viene data la possibilità di esprimere qualcosa di sé stesso, addirittura di improvvisare. Leonardo DiCaprio e Brad Pitt sono davvero credibili e mai caricano troppo i loro personaggi di dannose forzature. Hollywood è vista in maniera non positiva, solo come possibilità di entrare nello Star System: ma l’attore non è felice fingendo felicità con persone che simulano la stessa cosa, più fortunato il suo stuntman che vive in un camper un po’ scassato ma dove la sera lo attende il suo fedele cane. Los Angeles, 1969. Sharon Tate, promettente attrice americana e sposa di Roman Polanski, è la nuova vicina di Rick Dalton, star della televisione in declino. Dalton condivide la scena con Cliff Booth, stuntman che si è fatto (e rotto) le ossa nei western girati a Spahn Ranch. Controfigura e chauffeur di Dalton, Cliff vive in una roulotte con una cane disciplinato e fedele proprio come lui che da anni ammortizza le cadute e i rovesci dell’amico. E l’ultimo scacco costringe Rick e il suo doppio a traslocare dall’altra parte dell’oceano per girare un pugno di spaghetti-western. Dopo sei mesi dopo tornano –Dalton con una moglie italiana - a Los Angeles dove li attende la notte più calda del 1969.