Dolce Roma, diretto da Fabio Resinaro, segue la storia di Andrea Serrano, Lorenzo Richelmy, noto al grande pubblico per aver interpretato Marco Polo sul piccolo schermo, che veste il ruolo di un aspirante scrittore, costretto a lavorare in un obitorio, in attesa della grande occasione della vita, per sbarcare il lunario.
L’occasione finalmente arriva, ad offrirla è il grande “produttore cinematografico”, Oscar Martello, interpretato da Luca Barbareschi, nuovamente in scena dopo una lunga assenza dai riflettori della macchina da presa, che decide di portare sul grande schermo il romanzo del giovane scrittore, ma i capitali a disposizione sono modesti e Luca Vecchi, nel ruolo del regista, è quanto mai incompetente e il risultato dell’intera operazione, tra sciatteria e negligenza è un prevedibile un fiasco. Inutile cercare grandi novità in questa versione, rispetto ad un mondo già più volte raccontato, ovvero di film che ritraggono a loro volta la realtà del cinema e della varia umanità che lo popola; ciò che cambia e individua quest’opera, rispetto alle altre è una sorta di affresco della storia e del clima del nostro paese. Il regista riesce a fotografare il ceto “intellettuale”, modestamente piccolo, che ruota attorno al mondo della cinematografia, cogliendone i visi e la volgarità, abbandonando ogni prospettiva positiva, il tutto riassunto perfettamente dai suoi protagonisti: un concentrato di squallore, opportunismo e spietatezza, attratti inesorabilmente dal denaro e disposti a tutto. Il film ha struttura lineare e ritmo veloce, i 105 minuti, tanto dura la pellicola, scorrono spediti, con spunti anche ironici ma che non riescono a ridurre la sensazione di amaro che perdura dall’inizio alla fine.
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