Dafne di Federico Boni, classe 1976, al suo secondo lungometraggio in carriera, è un film che lascia il segno. Dafne è una giovane donna di trentacinque anni, che vive nella provincia toscana, con i Genitori Luigi e Maria, ha un impiego, come commessa in un supermercato, ha colleghi ed amici che la stimano anche se affettta dalla la sindrome di Daown.
E’ un film potente ma al tempo stesso delicato, lontano dal solleticare pruderie o facile pietismo, che si sofferma sul mondo della disabilità, un mondo spesso trascurato e che presenta invece tantissime sfaccettature. L’architettura del film regge grazie ad una bravissima Carolina Raspanti, 35enne romagnola, loquace, diretta, spiritosa, volitiva, che nella finzione come nella realtà lavora in una Coop; è lei a sostenere sulle spalle l'intera sceneggiatura, sono le sue interazioni con il mondo, che scandiscono il ritmo del film: nel rapporto con i genitori, con i colleghi al lavoro, Dafne/Carolina non subisce mai la propria diversità ma la accoglie, vive la sua condizione con matura serenità. In un mondo in cui impera l’efficienza e l’illusorio superamento della sofferenza Carolina/Dafne ci ricorda di accettare, nei suoi limiti, la condizione in cui ci troviamo e di viverla pienamente. Il racconto del film che offre anche spunti divertenti, ruota attorno al racconto dolce ed intenso, di elaborazione di un lutto, dove i due protagonisti Dafne e il padre Luigi (Antonio Piovanelli) impareranno dalla difficoltà a ricostruirsi una nuova esistenza in una sorta di pellegrinaggio anche fisico, nei luoghi di origine materna, che darà loro una nuova opportunità, a resistere ed a ricercare comunque la felicità.