Sean Anders è un regista di discreta qualità che recentemente si è specializzato nei film basati sulla famiglia. A riprova di questa tendenza basterà ricordare i suoi due ultimi titoli, Daddy's Home (2015) e Daddy's Home 2 (2017) sicuramente non memorabili ma, nello stesso tempo, decorosi e, soprattutto, accettabili nella costruzione narrativa con una sceneggiatura che non cerca a tutti i costi la complicità del pubblico con furbesche strizzatine d’occhio.
Qui riconferma Mark Wahlberg e questo gli permette di costruire senza troppi problemi un prodotto dello stesso tipo ma sicuramente più interessante. Pur cercando fin troppo di sminuire la componente drammatica, Instant Family è comunque un film serio, documentato, credibile che lascia un ricordo. È basato sulla esperienza personale del regista quale affidatario e, per questo, racconta dall’interno una vicenda tragicomica in cui i ragazzi (sono tre fratelli) non sono né troppo allegri, né esasperatamente petulanti. Sono credibili, con problematiche sicuramente riscontrabili in situazioni reali. La storia è lineare: coppia sui 40 anni con una situazione finanziaria più che accettabile – comprano case malandate, le ristrutturano e le rivendono – iniziano a sentire l’esigenza di avere un figlio, o, meglio, è la donna che prova questa mancanza. L’uomo accetta di andare in un’associazione dove insegnano a fare i genitori, guardano le foto di tanti bimbi ma, alla fine, vengono conquistati da una quindicenne latino-americana figlia di una spacciatrice di droga in carcere. È una contestatrice, insicura e per questo accende nei potenziali genitori ansiosi di aiutarla. Ma il problema grosso è che ha due fratellini problematici come lei. Questa la premessa su cui si sviluppa tutto il film, con le frustrazioni di questi genitori in pectore che non fanno mai la cosa giusta, che donano ricchi regali senza capire che loro sarebbero più felici giocando con scatole di cartone (bella la scena quando i ragazzi buttano i doni e si divertono con gli imballaggi), non capiscono le urla della più piccola spaventata da cose che non sanno identificare. È un film sulla maturazione di una coppia che credeva di essere felice ma che alla fine combattendo assieme riesce ad essere ancora più complice e matura. Ovviamente, qualche scorciatoia per il tenero cuore degli spettatori c’è (bella la scena quando la bimba chiama per la prima volta l’uomo papà) ma non per questo il prodotto deve essere considerato mieloso. Rose Byrne è perfetta, bravi tutti gli altri.