Sembra ormai moda imperante soprattutto negli Stati Uniti: per i molti amanti di drammi in cui i protagonisti siano persone realmente esistite, si cercano vicende tratte da una storia vera. Non volendo troppo entrare nell’effettiva credibilità storica di quanto raccontato – il cinema, si sa, è finzione e qualche licenza poetica agli sceneggiatori è consentita – si può comunque dire che non necessariamente si debba essere maggiormente coinvolti perché ci si occupa di persone che, ipoteticamente, avremmo anche potuto incontrare per strada.
È quanto accade per White Boy Rick, ragazzino quindicenne facilmente condizionabile da FBI, CIA e quant’altri, che a 15 anni si trova ad essere collaboratore (leggi, informatore molto informato) tradendo la fiducia di chi gli ha permesso di entrare in quel mondo malavitoso. Il giovane aiuta il padre a vendere armi da fuoco a Detroit, e grazie ai suoi prezzi onesti si fa una discreta clientela composta soprattutto da bande di uomini di colore, da cui il nomignolo per lui coniato White Boy Rick. Lo convincono a tradire per togliere dai guai il padre – ah, la famiglia – ma, in realtà, l’uomo è abbastanza scafato e saprebbe difendersi da solo. Padre un po’ anomalo con figlia tossica (ma lui è rigorosamente contro la droga perché proibita dal Governo, mentre le armi sono considerate lecite) e figlio che abbandona la scuola per portare avanti la particolare attività commerciale del padre, a suo modo ha sani principi e crede nella famiglia. Tutto inizia nel 1984 e, da quel momento, per Ricky la vita cambia, soprattutto quando viene avvicinato da due agenti del governo che facilmente lo convincono a spacciare droga per infiltrarsi in quel mondo: tutti i soldi sono suoi, cosa utile perché mette incinta sua coetanea e, quindi, anche lui vive alla sua maniera per proteggere i suoi cari. Ma tutto gira attorno al grande tradimento del FBI che, dopo averlo sfruttato, non lo copre e permette alla giustizia di condannarlo all’ergastolo; solo dopo 30 anni ha avuto gli arresti domiciliari. Lo sviluppo della psicologia dei personaggi è accettabile ma non coinvolgente, le scene d’azione sono realistiche ma non spettacolari, i dialoghi sono ben costruiti ma non particolarmente interessanti, la regia del francese Yann Demange professionale ma non eccelsa; del resto, gli mancano esperienze cinematografiche e per ora non ha ancora completamente recepito le differenze col linguaggio televisivo. Più che accettabile l’irriconoscibile Matthew McConaughey nel ruolo del padre, ancora immaturo Richie Merritt – qui al suo debutto come attore – quale figlio che farebbe tutto per i suoi cari.