A dieci anni dalla sua ultima prova quale regista e interprete con Gran Torino (2008), seguito da un suo ritiro che sembrava definitivo fino a quando non interpretò Di nuovo in gioco (Trouble with the Curve, 2012) diretto da Robert Lorenz, Clint Eastwood torna al massimo impegno, convinto del valore di una storia vera che appare come inventata da uno sceneggiatore dalla fervida fantasia.
Ed allora protagonista ma anche dietro la macchina da presa e principale partner produttivo della Warner Bros. con la sua Malpaso Production. Se si pensa agli 88 anni compiuti di questo straordinario uomo che vive di e per il cinema, sembra quasi impossibile sia riuscito a creare un thriller venato di dramma e ben costruito nelle scene d’azione che rende in maniera più che corretta la vicenda di un uomo che a 90 e più anni si mise in gioco come corriere della droga. Basandosi sull’articolo di Sam Dolnick pubblicato sul New York Times Magazine del giugno 2014, lo sceneggiatore Nick Schenk - scelto anche perché conosceva perfettamente Eastwood per cui aveva scritto Gran Torino – ha creato un film a misura di questo mito del cinema adattando i dialoghi ai differenti ritmi della recitazione dovuti all’età, e disegnando scene più intime e meno drammatiche di quella a cui Clint ci aveva abituato. La figura dell’anziano floricoltore che coltiva emerocallidi, i fiori di un solo giorno, e che non vuole adattarsi ad una nuova realtà che lo porta al fallimento, è raccontato con poche immagini. Poi il rifiuto da parte della figlia Iris (interpretata dalla biologicamente perfetta Alison Eastwood che gli somiglia anche molto) e della moglie che porta in maniera quasi logica al suo avvicinamento ad un nuovo lavoro legato alla droga, al denaro facile con cui spera di potere ricostruire quello che più gli interessa, la famiglia. Non si preoccupa di essere divenuto un malvivente perché ritiene di fare la cosa giusta. Eastwood forse ama troppo il suo personaggio e, a tratti, come regista è fin troppo benevolo nei suoi confronti. Ma questa posizione è comprensibile, accettabile anche se non sempre condivisibile. Il film che ne scaturisce, pur non essendo il suo migliore, è degno di essere visto e, perché no, apprezzato. Earl Stone, anziano che ha perso tutto per la chiusura della sua ditta, accetta lavoro di autista di un pic up: ma a sua insaputa l'uomo diventa un corriere della droga per un cartello messicano. Lavora con dedizione, gli aumentano i carichi, il guadagno è molto soddisfacente. Tutto bene fino a quando un agente della DEA non indaga e scopre molto.