L’uscita del film era prevista per fine novembre, ma la Warner Bros l’ha ritardata di un paio di mesi in Italia per inserirsi in un momento in cui mancavano grandi produzioni. La scelta è stata vincente perché il film è subito balzato in vetta agli incassi ed è forse l’unico titolo, tra gli ultimi presentati, ad avere la possibilità di reggere per parecchio tempo.
Rocky è un personaggio a cui il pubblico è molto affezionato e non lo mette mai in discussione, forse perché la rodata costruzione narrativa tranquillizza e rasserena: drammi che sembrano insuperabili, l’uomo che soffre e che parrebbe soccombere, l’amicizia che aiuta a sentirsi nuovamente vincenti, il riscatto grazie alla famiglia. Sequel dello spin off Creed - Nato per combattere (Creed, 2015) scritto e diretto da Ryan Coogler, il film può essere considerato più correttamente quale sviluppo di Rocky IV (1985) – opera in toto di Sylvester Stallone - perché ne estrapola vari temi. C’è molta attenzione nella scrittura, a cui dà un apporto determinate lo stesso Sylvester Stallone, e la storia che scaturisce appare di buon impatto drammatico. Pur essendo sempre molto importanti le scene dei combattimenti, qui si studia maggiormente la psicologia del giovane pugile figlio di Apollo Creed che all’inizio vediamo conquistare il titolo mondiale, il suo tentativo di trovare motivazioni per proseguire in una carriera che non gli offre stimoli, la sua maturazione grazie alla vicinanza della compagna Bianca (che diventa sua moglie) e il nuovo mondo che gli si apre dopo che diventa padre. Come sempre le scene dei corpo a corpo tra gli avversari sono documentate in maniera molto crudo tra sudore e ferite che si aprono sul volto dei combattenti, ma solo per potere poi scrivere pagine di nuova serenità. Bravissimo Michael B. Jordan che ha fatto un bel percorso artistico dalle Soap Opera e produzioni di ottimo livello quale il recente Black Panther (2018) diretto, come il primo Creed, da Ryan Coogler: ha un volto da bravo ragazzo, un sorriso sereno, la capacità di rendere credibili anche i momenti più drammatici. Proprio a causa dell’impegno per questo film, Ryan Coogler non ha potuto dirigere Creed II che è stato affidato al televisivo Steven Caple Jr. bravo nel rispettare quanto fatto in precedenza dall’esperto regista: c’è continuità di stile e capacità di dare ritmo ad una storia che dura oltre due ore. Ma il vero protagonista è sempre lui, Sylvester Stallone, che si disegna addosso un personaggio che sta nella penombra, che si pone in luce solo quando serve: continua a vivere nel ricordo della defunta moglie, è pronto quando serve ad aiutare il suo pupillo che considera come un figlio. Scritta in gran parte da lui, la sceneggiatura fa pensare ad un suo ritiro definitivo dagli schermi quale Rocky dopo 43 anni: ma gli statunitensi sono specializzati nella tecnica dell’Araba Fenice che risorgeva dalle sue ceneri, ed è probabile che riusciranno a trovare nuovi spunti per realizzare altre riletture del personaggio. Adonis Creed è diventato campione mondiale, ma non ha nemmeno il tempo di assaporare il trionfo che riceve la sfida di Viktor Drago, figlio di quel Ivan che aveva ucciso durante un combattimento il padre. Rocky, che non lo ritiene ancora pronto e rifiuta di allenarlo. Viene massacrato, perde e, per risorgere, potrà nuovamente contare sull’uomo che lo ha sempre considerato come un figlio.
