Ogni volta che ci si appresta ad assistere ad un film realizzato da M. Night Shyamalan, si spera di potere plaudire ad un ritorno a quei livelli che lo avevano fatto acclamare come autore innovativo. Dopo avere firmato The Sixth Sense - Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999) - thriller che ha sicuramente lasciato un’importante traccia nel cinema della paura, candidato a due Oscar – ha realizzato l’interessante Unbreakable - Il predestinato (Unbreakable, 2000) ed il sequel Signs (2002) per poi iniziare una fase discendente con il non eclatante The Village (2004). Gli si è continuato a dare fiducia perché con il suo titolo più noto, costato 40 milioni, ne aveva fatto incassare circa 700: si diceva che era tra i pochi a sapere dialogare e accontentare il pubblico senza scendere a (troppi) compromessi.
Dopo i discutibili risultati ottenuti con una quaterna di titoli assolutamente da dimenticare e che gli ha fatto perdere credibilità non permettendogli di trovare per parecchio tempo finanziatori - Lady in the Water (2006), il brutto E venne il giorno (The Happening, 2008) seguito dalla terribile family comedy L'ultimo dominatore dell'aria (The Last Airbender, 2010) e dal disarmante After Earth (2013) in cui tornava al mistery – grazie alla fiducia datagli dal mago delle produzioni low cost Jason Blum, è tornato in auge con un film costato solo 9 milioni di dollari, il buon Split (2016). Lo stesso Jason Blum è dietro a Glass e questo faceva sperare che potesse riprendere il trend positivo del regista indio-statunitense, ma così non è stato. Il film si presentava come ideale prosecuzione di Unbreakable - Il predestinato di cui erano interpreti Bruce Willis e Samuel L. Jackson, arricchito dai personaggi di Split: un terzo film che univa le atmosfere dei probabili suoi due migliori. Tuttavia ben presto ogni speranza si spegne assistendo ad un fumettone lungo ed inconcludente in cui davvero troppo è prevedibile e ove non basta il trasformismo di James McAvoy – già bravissimo in Split – per rendere interessante una sceneggiatura banale. L’attore si trasforma, ottimamente aiutato da truccatori e costumisti, in una ventina di personaggi ma ad ognuno di essi non vengono forniti dialoghi o situazioni interessanti da portare avanti: una bella performance che mai si materializza in qualcosa che migliori la qualità del prodotto. Il regista, probabilmente, è stato mal consigliato è a lui viene lasciata questa megalomania di cui è l’unico responsabile. Se si fosse fatto affiancare almeno nella stesura della storia da qualcuno valido sceneggiatore, probabilmente sarebbe riuscito ad evitare certe situazioni tragicomiche. La poca credibilità della storia è presente in varie situazioni, ma raggiunge il ridicolo negli incontri tra la psicologa – specializzata nel curare le persone che credono di essere supereroi - ed i pericolosi ospiti di questa clinica: entra nelle loro celle (stanze) senza la presenza di custodi che potrebbero aiutarla in caso di bisogno, e fa di tutto per rendere i suoi pazienti molto poco pazienti. Quindici anni dopo lo scontro con lo spietato uomo di vetro, l’unico superstite del disastro ferroviario da lui provocato scopre, guardando la televisione, che è stato smascherato il feroce assassino che ha seminato morte nel seminterrato dello zoo dove lavorava. Lo scampato usa i suoi incredibili poteri, aiutato dal figlio ormai adulto, e si trova sulle tracce del folle pronto a sacrificare al suo alter ego Bestia altre ragazze prese in ostaggio. Lo scontro a due ha il suo epilogo quando sono rinchiusi nello stesso Istituto psichiatrico in cui si trova The Glass Man.