Robert Zemeckis è regista ed autore che ama la sperimentazione, continuando opera dopo opera in una ricerca sia visiva sia di contenuti. I suoi personaggi sono spesso degli emarginati o, quantomeno, fuori dal comune.
Già in Ritorno al futuro (Back to the Future, 1985) il Professore era una persona al limite, e questa tendenza è confermata in Chi ha incastrato Roger Rabbit (Who Framed Roger Rabbit, 1988), Forrest Gump (1994), Polar express (The Polar Express, 2004), La leggenda di Beowulf (Beowulf, 2007), A Christmas Carol (2009) e The Walk (2014). Il suo gusto per il nuovo, per l’originale non sempre ha dato vita a titoli memorabili, e Benvenuti a Marwen è sicuramente tra questi ultimi. Anche qui una persona non comune (è un artista specializzato nel riproporre la Seconda Guerra Mondiale), per di più è stato traumatizzato da un raid omofobo che lo ha ridotto in fin di vita, è al centro della narrazione. Il regista racconta la trasformazione di questa persona – realmente esistita e che ha davvero subito quelle violenze - e della sua capacità di creare un mondo in cui lui potesse essere un eroe, una persona in grado di controbattere e vincere i suoi aggressori. Lui crea un plastico che ricostruisce un piccolo villaggio belga durante la Seconda Guerra Mondiale, e lo popola con bambole, femminili e maschili, che hanno le sembianze dei personaggi che hanno condizionato la sua vita positivamente e negativamente. Il mondo della sua fantasia è inserito nel contesto di un periodo storico che lui ha studiato nei minimi particolari, i 5 balordi che lo hanno massacrato si trasformano in feroci nazisti, la padrona del bazar dove compera le sue bambole in prosperosa contadina, la fisioterapista, lei stessa invalida (ha un arto artificiale), nella sua più fida compagna di avventure. Tutte le donne sono rappresentate come buone, gli uomini spesso sono visti dilaniati da bombe; perdenti che lo rassicurano nel suo tentativo di trovare una ragione per vivere. L’unico buono, spesso eroico ma che subisce (come nella realtà) torture e sevizie da parte dei cattivi, è lui, nel ruolo del Capitano Hugie difensore dei deboli. A parte la ripetitività all’interno di una sceneggiatura poco interessante, c’è la tecnica che trasforma gli interpreti nelle bambole che animano il villaggio: un gioco inizialmente gradevole ma che, dopo due ore o poco meno, è difficile da apprezzare. Nei (grandi) limiti di quanto proposto da un autore che sicuramente ci darà altre opere da ricordare, Steve Carell è bravo, e anche il resto del cast convince.