Dick Cheney (1941) è stato vicepresidente degli Stati Uniti durante l'amministrazione di George W. Bush, a lui è dedicato Vice - L'uomo nell'ombra di Adam McKay, originale nella struttura e decisamente interessante come ritratto di un uomo politico più interessato ai suoi interessi che non a quelli degli amministrati.
Il regista ne segue la vita sin dagli anni Settanta quando lavorava a stendere reti elettriche e fini in prigione per ubriachezza. Costantemente sorretto dall’implacabile moglie Lynne Ann Vincent entro in politica nelle file del partito repubblicano, scelto quasi per caso. Ebbe una carriera prestigiosa che lo portò sino alla vicepresidenza durante l’amministrazione di Bush jr. Quel ruolo era stato, sino ad allora, un incarico di facciata, ma lui, anche grazie ad una presidenza politicamene debole, lo trasformò in un posto di potere. L’attentato alle Torri Gemelle e la seconda guerra irachena furo occasioni importanti che lui colse al volo per instaurate una politica fatta di uccisioni, torture, menzogne sparse a piene mani. Fra queste ultime ricordiamo la storia delle armi di sterminio di massa che Ṣaddām Ḥusayn (1937 – 2006) avrebbe detenuto e che, una volta completata l’occupazione dell’Iraq, nessuno trovò. Così come rimangono nella memoria i suoi vademecum sulla tortura, eufemisticamente definita interrogatori stringenti, e le reclusioni senza processi dei sospettati di terrorismo nella base di Guantanamo. In poche parole, un politico intrigante, colluso con l’industria petrolifera e pronto a qualsiasi acrobazia legale per giustificare il suo aumento di potere. Il regista denuncia tutto questo i un film originale al limite dell’opera sperimentale, denso di ironia mescolata a sana disperazione. Un dato per tutti. Il narratore, che rimane misterioso per buona parte del film e subisce le inumane decisioni del vicepresidente, si rivela il donatore, post mortem, del cuore che batte nel petto del protagonista in sostituzione di quello malandato che gli aveva causato ben tre infarti.