Christian De Sica è un artista completo che solo per ragioni alimentari è divenuto un’icona di un certo cinema trash fatto di poche idee e di tanto cattivo gusto. Dispiace vederlo quasi sempre in queste vesti, con una recitazione grottesca ed un linguaggio non esattamente raffinato.
Firmando, assieme al figlio Brando, il ritorno della coppia storica di questo cinema tra avanspettacolo (ma lì le battute erano sicuramente più raffinate) e barzellette da osteria, c’era la speranza in un miglioramento della qualità del prodotto. Per Christian De Sica non è un debutto alla regia: ricordiamo la sua direzione del buon Faccione (1991) con la bella prova di Nadia Rinaldi – si erano conosciuti sul set di Vacanze di Natale '91 (1991) film del suo debutto – ma lo stesso anno aveva realizzato anche Il conte Max in cui aveva dato vita al personaggio interpretato dal padre Vittorio nel 1957. Altri 4 film diretti con decoro ed ora si ripresenta dietro la macchina da presa adeguandosi alla qualità non certo eccelsa soprattutto degli ultimi titoli del genere, pecoreccio più nei dialoghi che nelle immagini. Idee poche, trovate ancora meno, un senso di disagio di fronte a certe battute di grana grossa che fanno ridere o sorridere soltanto un pubblico particolarmente ben disposto. L’utilizzo del en travesti è talmente frequente sia nel cinema che in altre espressioni del linguaggio artistico, che sarebbe troppo facile dimostrare che questa ennesima riproposizione della trovata è sicuramente una delle meno felici. Ci si domanda come un soggetto scritto da cinque persone (tra loro il campione di incassi Fausto Brizzi) possa essere così povero, privo di un seppur minimo tentativo di far vivere i personaggi con un pizzico di visibilità e non come marionette che sono condotte sempre e soltanto verso scene di scarso interesse. Verso il finale c’è il tentativo di fornire un minimo di spessore alla storia, ma è troppo tardi per alzare il livello del film. Il regista e interprete tenta di far emergere qualcosa della psicologia del suo personaggio, ma subito si adegua al livello richiesto dalla sceneggiatura. Massimo Boldi è patetico nell’interpretazione dell’anziano ed arrapatissimo signor Colombo che vuole una giovanissima badante e si fa conquistare da una donna ultrasessantenne. Maurizio Casagrande è a sé stante e fornisce una piacevole napoletanità al suo portiere d’albergo. Agli altri non viene dato spazio sufficiente per esistere sullo schermo. Il rispettato direttore di un hotel di lusso di Milano è la prima vittima dell’entrata nella proprietà dei cinesi: la figlia dello storico proprietario lo licenzia. Rimasto senza lavoro, scopre che la donna sta cercando per suo padre una badante, ed è disposta a spendere una grossa cifra. Si propone per il lavoro e, aiutato da un amico e collega si traveste da donna e diventa la seducente Lisa che, eccitando l’uomo al primo incontro, viene assunta. Tra i due nasce un’intesa perfetta e tutto andrebbe per il meglio se non ci fosse il problema di nascondere questa novità alla moglie e al figlio.