Capri – Revolution di Mario Martone ci porta nell’isola partenopea nel 1914, poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Qui s’installa una comune guidata da un pittore che viene dal nord (l’ispirazione è al gruppo che approdò nell’isola sotto la guida dell’artista Karl Wilhelm Diedenbah) i cui membri amavano aggirarsi nudi fra le rocce con grande scandalo degli abitanti e partecipano ad una sorta di unione vegetariana e ultrapacifista.
Lo scontro esplode in particolare sul corpo della capraia analfabeta Lucia che, attratta dai membri del gruppo e, in particolare, dalla personalità del capo, abbandona la famiglia, sfida i pregiudizi degli isolani sino a emigrate negli Stati Uniti all’epoca concepiti come terra di libertà. Il regista è molto attento al clima dei quegli anni e alle posizioni politiche dei militanti nei confronti dell’imminente grande massacro. Tutto questo conferisce al film uno spessore straordinario, ma interamente concepito a tavolino, con i vari personaggi, compresa l’interprete principale, più abbozzati che approfonditi. In altre parole, un’opera realizzata con grande maestria, ma più pensata che sentita. Un’opera non interamente al livello della produzione a cui ci aveva abituati questo cineasta.