3 volti porta la firma dell’iraniano Jafar Panahi, un cineasta che non può lasciare il paese in quanto condannato a 6 anni per motivi politici con l’interdizione a realizzare film per altri 20 anni. Nonostante questa pesante sentenza è riuscito a filmare in maniera semiclandestina This Is Not a Film (Questo non è un film, 2011), Closed Curtain (Tende chiuse, 2013) e Taxi Teheran (2015), titoli che hanno ricevuto riconoscimenti a Berlino, Cannes e Venezia.
Questa sua ultima fatica sembra realizzata in modo più diretto, quasi che il nuovo clima che si respira nel paese abbia contagiato anche il suo lavoro. Un regista e una star della televisione arrivano in un piccolo villaggio di montagna ove si parla turco. Sono sulle tracce di una ragazza che ha annunciato di volersi suicidare se il padre non le permetterà di frequentare la scuola di cinema. Il contrasto fra i due cittadini e i paesani non potrebbe essere più violento. Gli stranieri dapprima sono accolti con entusiasmo, ma non tardano ad entrare in conflitto con usi e mentalità loro estranei. A dominare sono le credenze più arcaiche e i rituali legati a una vita che sembra ferma al Medio Evo. Alla fine, riusciranno a partire con la ragazzina che vuole fare cinema, ma dovranno superare non pochi ostacoli alcuni dei quali, ad esempio la promessa della sepoltura - presso l’università - del prepuzio di un giovane da poco circonciso onde facilitare la carriera di medico, rientrano in pieno nei rituali semi magici in auge nel villaggio. In questo film il regista ritrova la verve e l’inventiva che ne hanno fatto uno dei maggiori cineasti iraniani e conferma una genialità che le angherie del regime non sono riuscite a sopire. Il film è stato premiato al Festival di Cannes 2018 per la migliore sceneggiatura.