Santiago Mitre è uno dei nomi più interessanti della cinematografia argentina, e ha saputo creare uno stile molto personale e riconoscibile imponendolo quale nome emergente su cui puntare. Con Paulina (La Patota, 2015), presentato in vari Festival, ha ottenuto premi e un buon riscontro dal pubblico (era la storia di una brillante donna avvocato che torna nel paesino dove è nata per insegnare e viene violentata).
Purtroppo, con Il Presidente non è riuscito ad essere così convincente dando vita ad un film interessante per i contenuti ma meno piacevole del precedente alla visione. La sceneggiatura è fin troppo presente e non riesce a creare situazioni realmente interessanti, difficilmente coinvolgere, ancora più raramente convincere. Sembra un prodotto per la televisione più che un titolo pensato per il cinema. Il suo impegno sociale e politico questa volta diviene un limite, e non gli permette di portare a termine un’opera da ricordare. Non è riuscito a sfruttare la visibilità che la prima mondiale a Cannes dell’anno scorso poteva donargli; presentato in svariati altri festival, ha ottenuto un paio di premi legati alle musiche di Alberto Iglesias e all’attrice non protagonista in manifestazioni non di primo piano. Il regista sembra non essere pronto a grosse produzioni (la troupe era composta da un centinaio di tecnici) che lo limitano e non gli permettono di creare un’opera autoriale. Sembra timoroso, attento a dire poco con un film formalmente piacevole ma incapace di sviluppare temi di grande spessore che vanno dalla politica alla vita privata, dal rapporto tra psiche e inconscio a un disagio generalizzato. Ricardo Darín è sempre molto bravo e il paragone col nostro Tony Servillo calza a pennello: misurato nella recitazione, sa ogni volta reinventarsi in personaggi che vive con credibilità e rende umanamente molto interessanti. Senza di lui questo dramma politico in salsa thriller in cui convivono psicoanalisi e filosofia - con tanto di ipnosi che fa riemergere dal profondo della figlia ricordi e segreti - sarebbe davvero poco interessante. Nel ruolo della giovane donna Dolores Fonzi, brava ma non aiutata dalla sceneggiatura nella resa delle varie sfaccettature di una figura fondamentale per la storia. In un hotel isolato sulla cordigliera andina si svolge il vertice dei Capi di Stato latinoamericani destinato a influenzare il destino energetico di tutta la loro area. Il presidente argentino – personaggio con poco carisma - dovrà essere in grado di risolvere una questione molto complicata che interessa sia la sua vita privata che quella pubblica, con l’ex genero che potrebbe denunciare all’opinione pubblica di essere stato al centro di finanziamenti occulti al partito dell’uomo politico. Tutto si complica perché tra i partecipanti non c’è una posizione comune sull’entrata degli Stati Uniti nell’accordo.