Il 20 luglio 1969 l’astronauta americano Neil Armstrong mise il piede, primo uomo della storia, sulla superfice della luna. Alla preparazione e a quel viaggio il regista Damien Chazelle ha dedicato Il primo uomo, un colossal interpretato, fra gli altri, da Ryan Gosling e Claire Foy che aperto il concorso della 75 edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
È un colossal con tutte le caratteristiche dei filmoni di questo tipo ma si segnala per due caratteristiche specifiche: l’uso spettacolare del suono e il taglio stilistico da film di famiglia. Il primo aspetto ha il merito di introdurre lo spettatore nel cuore della vicenda – meglio del lavoro degli astronauti – senza far leva su modellini o tecniche computeristiche. Il risultato è tutt’altro che disprezzabile e conduce chi guarda dentro una vicenda di cui non enfatizza i momenti drammatici o le svolte sentimentali. Il secondo elemento di pregio è l’uso di immagini che si richiamano al cinema familiare, a quei filmini casalinghi di cui tutti abbiamo esperienza. La combinazione di questi due elementi contribuisce non poco a dare una patina realistica al film, patina in parte smentita dalla trascuratezza con cui sono affrontati elementi tutt’altro che marginali come la corsa allo spezio quale frutto della competizione politica ed economica fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Allo stesso odo appare sottovalutato il quadro generale (le lotte sessantottine, quelle razziali e le battaglie giovanili contro la Guerra in Viet Nam) che segna la vita politica in quegli anni. Ciò che rimane è un filmone professionalmente pregevole, fastidiosamente patriottardo, ma non meno imbarazzante di altri che hanno come obiettivo principale l’esaltazione dello spirito americano. Il che non gli ha impedito di cadere sotto gli strali di Donald Trump in quanto nel fil non compare il momento in cui Neil Armstrong pianta la bandiera a stelle e strisce sulla luna.