Elia è l’ultimo abitante di un paesino pugliese, anni prima devastato da un sisma. Vive solo fra case dirute e macerie recuperando le poche cose che gli servono degli altri edifici abbandonato i semidiroccati o costruendosi i pochissimi oggetti di cui ha bisogno.
Sua moglie, una delle maestre del paese, morta nel terremoto, ma lui non ne ha ancora elaborato il lutto anche se una collega della scomparsa tenta continuamente, ma inutilmente, di convincerlo ad andare a vivere con lei. Il suo maggior nemico e su cognato è il sindaco del paese nato per ospitare gli sfollati. Il funzionario vuole farlo rientrare nell’ordine ad ogni costo. Gli offre un appartamento, cerca di convincerlo con vari mezzi, tutto inutile Elia rimane ancorato al paese terremotato e alla sua casa. Un giorno riceve la visita inaspettata e, all’inizio, non gradita di una migrante nordafricana approdata in Italia con l’intenzione di raggiungere, in Francia, una parente. Potrebbe essere il segno di un ritorno a una vita normale di coppia, ma, passato un primo momento d’affetto lui l’affida ad un amico che ha comperato un pullman. Pippo Mezzapesa dirige un film che, lo si capisce da molti dettagli, che vuole essere molto di più della solita opera all’italiana in cui si alternano facezie e belle donne. Quella proposta è una serie riflessione sul passato e sulla conservazione del patrimonio culturale. In questo la testarda decisione di Elia di non abbandonare i luoghi d’origine e, con essi, le tradizioni che segnano una vita intera assume un valore simbolico con trascurabile. Per cui il parallelismo con il dramma della donna magrebina diventa un paradigma da cui emergono più le cose che hanno in comune che differenze.