Opera senza autore (Work ohne Autor) del tedesco Florian Henckel von Donnersmarck ha una lunghezza considerevole, 188 minuti, giustificata dalla volontà dell’autore di rappresentare la Germania dagli anni trenta ai sessanta.
Tutto è visto attraverso la figura di Kurt un ragazzino che passa l’infanzia sotto il Terzo Reich, assistendo all’uccisione dell’amata zia da parte di un famoso ginecologo che, nel dopoguerra diventerà suo suocero. Il giovane approderà, attraverso diverse vicende, al ruolo di un noto pittore e il suo lavoro, dipingere immagini fotografiche appena velate da uno strato di vernice, obbliga, meglio dovrebbe obbligare, chi guarda ad interrogarsi su ciò che è stato e sulle responsabilità che aveva quando svolgeva un ruolo pubblico. È un film che, forse, non contribuisce molto alla ricerca sul linguaggio e l’innovazione nel cinema, ma è un’opera che svolge un ruolo fondamentale nella denuncia delle responsabilità sociali di più di una generazione. Non è un caso se l’autore si era segnalato in passato con il suo film d’esordio, Le vite degli altri (Das Leben der Anderen), con cui vinse, fra gli altri, anche il Premio Oscar 2007 per il miglior film di lingua non inglese. Quel testo portò alla luce, senza indulgenze, il clima poliziesco e oppressivo costruito dalla STASI nella Germania Orientale. Oggi il suo occhio si rivolge alla Germania nazista e ai residui che si è lasciata dietro. Un film appassionate che non concede, nonostante la lunghezza, un attimo di tregua allo spettatore.