Agnese Claisse, ormai trentenne ma con un viso (ed un fisico) da adolescente, con Blue Kids ha avuto finalmente la possibilità di interpretare un ruolo interessante, ricco di sfaccettature, capace di riempire lo schermo. Figlia di Laura Morante, ha molto della madre nel volto. Dà al suo personaggio un viso ingenuo e a tratti stupito, occhi in cui ci si perde.
La sua sfortuna è che il film di cui è protagonista, Blue Kids, è quanto di meno interessante e riuscito si possa immaginare. Debutto dietro alla macchina da presa di Andrea Tagliaferri, attento e dotato aiuto di Matteo Garrone che per amicizia gli produce l’opera prima, è quanto di più pretenzioso e mal riuscito si possa immaginare. Presentato lo scorso anno al Torino Film Festival con scarso esito, vorrebbe essere opera d’autore, con una ricerca quasi maniacale dell’inquadratura. Soprattutto all’inizio, il regista incolla l’obiettivo sul volto dei suoi attori, con primi piani esasperati che dovrebbero raccontare intimità ma che si riducono ad essere disturbanti e poco funzionali. Altri preziosismi le riprese fatte dall’interno dell’auto verso l’esterno che appare quasi come un mondo irreale, o il perfetto uso delle luci che fa apparire varie scene come piccoli quadri da godere. Il problema è che la sceneggiatura è assolutamente lacunosa con sviluppi narrativi eccessivi in scene banali e una incapacità assoluta di utilizzare spunti che potrebbero essere vincenti. 67/68 minuti di film – i lunghissimi titoli di coda sono proposti con rullo a dire poco lentissimo per raggiungere i 75 di durata finale – in cui la noia è componente principale, dove spesso ci si domanda perché i pochissimi personaggi non siano stati meglio approfonditi. I fratelli che rubano per noia, che sono in grado di uccidere chi vorrebbe vederli più adulti, che hanno un rapporto di complicità che sfiora anche quello sessuale sono proposti come ombre che mai interessano davvero. Terribile il breve dialogo messo in bocca al notaio, inesistente il complice innamorato della ragazza che accetta di partecipare all’atto delittuoso. Agnese Claisse offre anche il nudo del suo corpo tatuato e cerca di sopperire alla povertà degli input ricevuti dal regista, Fabrizio Falco quale bamboccio senza stimoli è assolutamente deleterio all’economia del film. Con maggiore esperienza (e bravura) Matilde Gioli cerca di tratteggiare la figura della cameriera che diviene loro complice e si concede intimità con loro. In verità è realmente troppo poco per sopportare questa storia girata con gli sfondi di Faenza e Ravenna mai utilizzati come meriterebbero. Un’ora in cui troppo spesso si guarda l’orologio. In un mondo senza oggi e senza domani sorella, fratello, il padre e una cameriera dalle mille risorse sono i protagonisti di una storia fatta d’ombre, in cui si ha un impeto di vita legata alla morte della ricchissima madre dei ragazzi che a loro non ha lasciato nulla. L’impossibilità di convincere il padre a dare del denaro, la decisione di eliminarlo, la complicità della loro amica. Tra amoralità e noia, la storia si dipana stancamente.