End of Justice: Nessuno è innocente firmato dall'americano Dan Gilroy ha al centro un avvocato di colore, interpretato da un Denzel Washington (il trucco lo rende quasi irriconoscibile), che concepisce la professione come una continua ricerca della verità e un modo per rendere giustizia agli emarginati.
Le sue idee cozzano contro una realtà in cui, invece, sono il successo economico e l’accumulo di denaro a farla da padroni. La morte improvvisa dell’anziano capo dello studio in cui lavora dando un contributo fondamentale, anche se accuratamente sempre tenuto nell’ombra, mette fine ai suoi sogni e al progetto a cui ha lavorato in silenzio tutta la vita: la denuncia contro della facilità con cui i pubblici ministeri ricorrono al patteggiamento per motivi d’interesse e per faciloneria anziché cercare le ragioni profonde dei crimini. Dopo un momento di sbandamento (consegna alla polizia un latitante per ottenere il premio posto sulla sua testa dalla comunità armena della vittima) ritorna sulla retta via ed è ucciso da un sicario dell’uomo che ha denunciato. Tuttavia, con il suo gesto ha messo in crisi l’avidità del suo nuovo capo. Il film è molto americano, nel senso che affronta temi che sono specifici a quel sistema giudiziario e lo fa con quieta abilità giocando le sue carte migliori sull’interpretazione, davvero ottima, del protagonista. Un film lineare che innova molto poco nel linguaggio cinematografico, ma che ha il merito di portare sullo schermo temi socialmente rilevanti, quantomeno per l’opinione pubblica americana. Non solo, il regista ha il merito di sfruttare molto marginalmente, gli scontri tribunalizi consentiti dal sistema giuridico anglosassone che privilegia sia l’istrionismo delle parti, sia le possibilità di accordi extragiudiziari fra accusa e difesa.
