Il regista tunisino Abdellatif Kechiche è stato adottato dal mondo culturale europeo e ogni suo film, ormai, è un successo annunciato. Racconta senza fretta e presenta le sue storie attraverso lunghissimi dialoghi, con durate che in tutti i suoi titoli vanno da un minimo di due ore alle tre. La sua bravura sta nel rendere ogni cosa naturale, come se si fosse testimoni di momenti di vita, non di opere cinematografiche.
Dal suo debutto con Tutta colpa di Voltaire (La faute à Voltaire, 2000) al suo primo grande successo internazionale con Cous Cous (La graine et le mulet, 2007) per arrivare a La vita di Adele (Le vie d'Adèle, 2013), ha creato quel zoccolo duro di spettatori che gli permette di continuare in questo suo modo di intendere il cinema connubio tra temi arabi ed uno stile caro al cinema d’oltralpe. Tre ore l’ultima sua fatica, qui raddoppiamo perché già la prima parte di Mektoub, My Love è vicino a questa lunghezza. Tratto dal romanzo del quarantaseienne François Bégaudeau La blessure, la vraie (in Italia, edito da Einaudi, uscito col titolo La Ferita, quella vera), è stato completamente variato in fase di sceneggiatura (nel libro, il protagonista era un quindicenne), è un esempio di come questo regista riesca a diluire una storia scritta in poco più di 250 pagine in un film tanto lungo. Inizia con una scena di torbido sesso per poi tornare immediatamente al suo cinema fatto di dialoghi, musica, dialoghi, belle immagini. Facile parlare bene di un’opera che sa convincere la critica con qualche furbesca strizzatina d’occhio ma non sempre riesce ad avere dalla sua parte lo spettatore, soprattutto se prima della visione non è conscio di cosa andrà a vedere. Ricorda nel taglio Sesso, bugie e videotape (Sex, Lies, and Videotape, 1989), interessa per come vengono raccontati i giovani arabi, ragazzi come tanti che mettono davanti ad ogni cosa il loro desiderio di divertirsi. Coprodotto dagli italiani, è sicuramente opera affascinante ma impegnativa, non sempre entusiasmante. Amin, aspirante sceneggiatore che vive a Parigi facendo il cameriere, ritorna per l’estate nella sua città natale, una comunità di pescatori nel sud della Francia, per ritrovare la famiglia e gli amici d’infanzia. Accompagnato dal cugino Tony e dalla migliore amica Ophélie, Amin passa il tempo tra il ristorante di specialità tunisine dei suoi genitori, i bar del quartiere, la spiaggia frequentata anche dalle ragazze in vacanza. Coinvolto emotivamente dalle numerose bellezze in bikini che lo circondano, Amin resta come soffocato da tanto erotismo all’opposto di suo cugino che ama i rapporti fisici. Munito di macchina fotografica, Amin porta avanti la sua ricerca filosofica lanciandosi nella scrittura. Ma quando arriva il tempo dell’amore, solo il destino, solo il mektoub può decidere.