Non sempre aver ottenuto al Festival di Cannes il prestigioso Golden Camera (premio migliore opera prima) all’interno della sezione Un Certain Regard è garanzia che un film sia realmente bello: gli equilibri che debbono esistere tra i vari giurati può fare scegliere un titolo accettato da tutti ma non per questo il migliore.
Al suo debutto dietro alla macchina da presa in un lungometraggio, Léonor Serraille si impegna e cerca di raccontare in maniera coerente e coinvolgente la sua storia, ma spesso ci sono cadute di qualità e di interesse che portano il film al più corretto livello di onesta opera prima, ricca di entusiasmo ma anche di tanti errori, troppi per non inficiare la qualità finale. Unica altra sua regia il corto Body (2016) nel quale si occupava di infermiera molto solitaria che trasforma giornata al mare con la sorella in un insieme di errori esistenziali. Anche la protagonista del suo film del debutto ha problemi seri, ed è molto sola: quasi a volere raccontare sempre la stessa storia – che potrebbe avere aperture autobiografiche – anche se con esteriorità psicologiche differenti. Sua fortuna è stata quella di potere contare sulla collaborazione della trentottenne franco svizzera Laetitia Dosch, molto attiva in cinema e televisione con esperienze anche teatrali, che la ha sicuramente aiutata nel creare attorno al personaggio un alone di credibilità. Il film è un elogio all’instabilità, che vorrebbe dipingere con rarefatto realismo un ritratto femminile tragicomico, ricco di una certa forza e di ottimismo (forse). Seguiamo questa trentunenne che cammina senza meta tra le strade di Parigi dopo un lungo soggiorno in Messico. È priva di certezze, di elementi su cui costruire la sua esistenza poiché il suo ex, celebre fotografo con cui è stata assieme per dieci anni, ha chiuso con lei e non vuole nemmeno più vederla. La storia del film inizia da questo momento, con lei che deve affrontare la vita senza un soldo e senza casa: la prima volta in cui si deve realmente caricare dei problemi della vita. Accompagnata da un gatto, Paula, tra mille incontri, lavori precari e guai a non finire, armata solo della sua debordante emotività, si reinventa una nuova vita. Ovviamente, la sua è un’esistenza borderline, non capita da molti. Il tema non è nuovo, ma questo vuole dire poco se sviluppato con bravura. Purtroppo, la regista dà quasi l’impressione di volere finire in fretta e permea un po’ tutti i personaggi di pressapochismo, senza mai sfruttare fino in fondo le poche occasioni presenti nella sceneggiatura.