Per chi, leggendo la trama, ha l’impressione che questo film sarà senza originalità, uguale a tanti di un argomento simile, c’è una piacevole sorpresa di fronte ad una storia raccontata in maniera equilibrata con uno stile che tiene presente il cinema scandinavo senza negare una sua dipendenza culturale da quello pakistano.
La regista e sceneggiatrice Iram Haq è un quarantaduenne con varie esperienze anche nella recitazione. È qui alla sua seconda prova dietro la macchina da presa e ha dimostrato abbondantemente di avere imparato il mestiere. Il film dell’esordio Jeg er din (I’m yours – Sono tua, 2013) si occupava sempre di una vicenda che coinvolgeva gli scontri/incontri tra i due mondi tanto diversi tra loro. Qui c’era una donna single con un figlio di sei anni che aveva desiderio di trovare l’amore sbagliando ogni cosa, fino a quando incontra un regista svedese a cui crede. Molto più intimo e personale questo suo secondo film che si occupa di una sedicenne nata in Norvegia con genitori pakistani, con una vita serena e un po’ fuori le righe, con un padre che l’adora. Bravissima a scuola, è l’orgoglio della famiglia fino a quando non scoprono che ha un ragazzo locale che viene beccato una sera nella camera della ragazza. Non c’è stato contatto sessuale, ma questo poco conta per un uomo legato alle tradizioni che pensa sempre e soltanto a cosa dirà la gente. La ragazza, di colpo, si trova contro tutta la famiglia – la madre è la più decisa, il fratello segue il canone maschilista in cui la donna non ha gli stessi diritti degli uomini – ed il padre, se potesse, tenterebbe di evitarle una grave punizione. Ma Log kya kahenge, modo di dire pakistano, è legato su come si sarà giudicati (una volta ogni tanto, il titolo norvegese, pakistano ed italiano hanno esattamente stesso significato) e, a causa di questo, è costretto a punirla: gli anziani (quarantenni o poco più come il padre) lo costringono a darle una punizione esemplare per evitare che altre ragazze la imitino. Ed allora, rapimento con l’iniziale tentativo della ragazza di ribellarsi, auto guidata dal fratello che porta lei e il genitore in aeroporto per volare verso Islamabad da cui raggiungeranno il loro paese d’origine dove tutto è fermo nel tempo. Affidata a parenti integralisti che si impegnano ad educarla, per lei inizia un vero e proprio dramma. Il film è molto ben girato: all’inizio, il padre – come se stesse seguendo un rito – controlla tutta la casa per vedere che tutto sia in ordine: la ragazza corre e riesce a mettersi sotto le lenzuola prima che il genitore possa scoprirla. Si ha la sensazione che un colpo di fortuna non potrà ripetersi per sempre e presto la ragazza non può più nascondere questa relazione. La ragazza è sorpresa perché coi genitori non aveva scontri, era coccolata in quanto brava studentessa. Questo cambio repentino la sconcerta e la riduce incapace di reagire. Ottima protagonista la giovanissima e debuttante nel cinema Maria Mozhdah che, ben sorretta dagli altri interpreti con maggiore esperienza, offre una prova maiuscola. La regista Iram Haq riesce a mantenere un certo distacco dalla storia, nonostante sia in gran parte autobiografica: a poco più di 14 anni era stata rapita, portata nel suo paese contro la propria volontà, segregata per due anni perché anche lei ribelle. Bello e intenso, racconta (purtroppo) di vicende simili a quelle che vengono rese note dai mass media con grande frequenza. La sedicenne Nisha per sopportare le imposizioni dei genitori si inventa una doppia vita: a casa è la figlia pakistana perfetta, fuori con le sue amiche è una normale adolescente norvegese. Quando suo padre la sorprende in camera con il suo ragazzo, i due mondi si scontrano. I genitori della ragazza decidono di rapirla e portarla in Pakistan da alcuni parenti dove è costretta ad adattarsi alla cultura dei suoi genitori.