Tonya Harding è stata una grande pattinatrice americana degli anni novanta. La sua carriera fu bruscamente interrotta dalla scoperta che aveva organizzato o quanto meno era a conoscenza dell'organizzazione di un’aggressione alle gambe alla sua rivale Nancy Kerrigan prima delle Olimpiadi invernali del '94 di Lillehammer in Norvegia. .
Sboccata, irruenta, monomaniaca l'atleta proveniva da una famiglia povera, la madre era una cameriera, lei era stata allevata praticamente senza padre e la genitrice l’aveva sempre trattata più che duramente. Il regista australiano Craig Gillespie ha preso spunto dalla biografia di questa apttinatrice, che segue dai 4 ai 44 anni, per realizzare un film sui miti e le ombre dello sport americano. Ci si aspetterebbe, ma su questo versante l’opera latita, che si scorgessero anche i contorni di una società che ha fatto del successo un mito e che ama distruggere i propri eroi con la stessa velocità con cui li mette su un piedistallo. Sono aspetti che non ritroviamo nel film se non in misura molto parziale, mentre vi primeggiano le performance degli attori, in particolare la madre a cui dà vita Allison Janney – un ruolo che le è valso il premio Oscar 2018 - più ancora di Margot Robbie che interpreta Tanya. Da notare anche l’ironia, quasi alla Joel e Ethan Coen, con cui è descritta la maldestra aggressione. Il film è basato su una sceneggiatura fondata sulle interviste, contradditorie, rilasciate dall’atleta e dall’ex-marito, mentre la madre non ha voluto parlare con l’autore dello script. In definitiva un film di buona resa drammatica che getta uno sguardo inquietante sul perbenismo e gli affari non sempre puliti che segnano lo sport americano, ivi comprese le selezioni per la composizione delle squadre olimpiche