Reynolds Woodcock è un celebre stilista inglese che, nella Londra degli anni cinquanta, veste aristocratiche e ricche borghesi. La rivoluzione guidata da Mary Quant e dalla sua minigonna è alle porte, ma il potere dei grandi sarti è ancora solido.
Lui vive per la sua arte, immerso in un ambiente in cui la sorella, che è anche sua socia, vigila con fermezza a ciò che nulla turbi i rituali e la quiete dal fratello. Tutto è messo in discussione quando il grande sarto conosce una cameriera che incarna gli ideali di bellezza che lui ha sempre cercato. Lo stilista porta la ragazza a vivere nella sua casa, sfidando gli attriti, facilmente prevedibili, che si scatenano con la tirannica sorella. Il dramma è incardinato in questo conflitto fra le due donne che, di fatto, si contendono i favori dell’uomo, favori del tutto intellettuali da parte della sorella. La giovane ex – cameriera riesce a sposare il famoso stilista, ma non sopporta il clima monomaniacale in cui è immerso, tanto da tentare di avvelenarlo. Lui intuisce quanto accaduto e si presta, volontariamente, a un secondo tentativo di omicidio. Paul Thomas Anderson, uno dei cineasti americani più interessanti, prosegue il discorso sulle debolezze e le manie degli uomini di successo avviato con Magnolia (2000) e proseguito con Il petroliere (2007). Qui la struttura narrativa ha cadenze tradizionali, non a caso viene citato il cinema di Alfred Joseph Hitchcock (1899 – 1980) con i suoi uomini comuni presi in tragedie ben più grandi di loro. Questo famoso stilista londinese è, in realtà, un uomo insicuro che non sa misurarsi con la vita vera e la evita nascondendosi dietro un paravento di genialità monomaniacale. La sua devozione per gli abiti femminili è un maldestro surrogato di una sostanziale incapacità a confrontarsi con l’altro sesso e l’accettazione della morte, che la moglie progetta di dargli, è solo un modo per sfuggire a un dilemma soffocante che lo sta schiacciando lentamente, ma inesorabilmente.