La sessantaduenne Ildikó Enyedi è un’intellettuale che alterna insegnamento in Università e Accademie al suo interesse per il cinema a cui ha dato pochi titoli ma di grande valore. Nata come concept e media artist, ha poi realizzato corti ricchi di fascino. Il debutto nel lungometraggio lo ha avuto con Il mio XX secolo (Az én XX. Századom, 1989) che ha vinto la Caméra d'or al Festival di Cannes ed è stato inserito nella speciale classifica stilata dai massimi esperti del suo paese nel novero dei 12 migliori film ungheresi mai realizzati.
In questo film raccontava di due gemelle poverissime nate nel 1880 e separate quando avevano dieci anni, del viaggio sullo stesso Orient Express ignare uno dell’altra al inizio del 1900, dell’invenzione dell’elettricità e dello sviluppo di una società diversa. Film complesso ed affascinante, è stato visto praticamente solo nei Festival, come del resto il bellissimo Tamás és Juli (Tamas e Giulia, 1997) con un minatore e una maestra d’asilo che non riuscivano a comunicare quello che provavano. Contrariamente a molti autori che colorano i loro personaggi di connotazioni psicologiche prive di valore scientifico, questa regista conosce bene la psiche anche attraverso studi sulla psicoanalisi ed è un’attenta narratrice di storie difficili ma possibili. in Corpo e amina, vincitore dell'Orso d'Oro al 67 festival di Berlino, c’è il particolare rapporto tra due dipendenti di un mattatoio, il direttore finanziario e la responsabile di qualità, che poco si conoscono ma scoprono di fare sempre lo stesso sogno. Attraverso le immagini votate ad uno splendido surrealismo e realizzate utilizzando vari formati, la regista racconta senza mai annoiare con la sua capacità di tenere il film sopra un piano tragicomico particolarmente efficace. In alcune scene i dialoghi sono un po’ invasivi e rallentano il ritmo narrativo – peraltro tenuto quasi sempre tesissimo attraverso un montaggio perfetto – ma è questione di pochi minuti in un film di quasi due ore. Lo scontro visivo tra le scene del mattatoio e la neve su cui si muovono gli animali che sono protagonisti del loro sogno, è veramente bello e coinvolgente: i due cervi, che li rappresentano, hanno una relazione che loro, forse, mai potranno avere. Bravissimi soprattutto i due protagonisti, in particolare il sessantacinquenne Géza Morcsányi, noto drammaturgo e direttore artistico del Teatro Radnóti di Budapest nonché responsabile da oltre venti anni della casa editrice Magvetö che ha dato alle stampe alcuni tra i più interessanti romanzi degli ultimi anni, e il maggior traduttore dei drammi di Maksim Gor'kij (1868 – 1936) e Anton Čechov (1860 – 1904). È qui al suo debutto come attore, e la sua prova è di altissimo livello. Alexandra Borbély, di origine ceca, è nota soprattutto in televisione: con questo film, in cui è perfetta, ha vinto un European Film Award. Direttore finanziario – con una paresi che gli ha bloccato un braccio e una impotenza completa - di un grande mattatoio è sospettoso nei confronti della nuova responsabile del controllo qualità inviata dalle autorità. La donna, molto pignola, applica sul lavoro il suo stile di vita fatto di serietà ed onestà. Nel corso di colloqui di routine, la psicologa scopre che i due condividono lo stesso ricorrente sogno. Introversi, rifuggono da questa rivelazione e sono sempre più preoccupati quando scoprono che questo fenomeno prosegue. Il loro rapporto cambia, ma non per loro volontà, solo non potendo più combattere una intimità che nella notte accomuna le loro menti ed anime.