Ci si sono messi in sei per scrivere la sceneggiatura della seconda parte di Poveri ma ricchi (2016). tratto dal mediocre film d’oltralpe Les Tuche (2011) di Olivier Baroux. L'idea e lo sviluppo riuscivano ad essere accettabili nella prima parte, ora, con l’esigenza di scrivere una nuova storia in grado di sopportare 90 minuti, c’è stata la conferma della povertà sia della fonte d’ispirazione che di quanto erano riuscito a creare gli autori italiani.
Ci sono varie gag più o meno riuscite, legate tra di loro in maniera approssimativa e difficili da potere definire film. Nella scrittura figura anche Christian De Sica che ha caratterizzato il suo personaggio trasformandolo nel clone scemo di Donald Trump, nel corso delle riprese ha aggiunto qualcosa di suo ed è riuscito a salvarsi completamente dal ridicolo. Chi fa la differenza è la brava Lucia Ocone, ironica e capace di dare visibilità alla figura della First Lady ciociara con occasionale amante Massimo Ciavarro, scrittore con tendenze sado-maso punito con le sue stesse armi. Nel deserto occupato dagli altri, lei è un’oasi dove potersi abbeverare della linfa della commedia. Poco interesse desta invece sia Christian De Sica sia il suo personaggio. Non basta truccarlo come il Presidente degli USA per far ridere se non per pochi attimi: anche le sue gaffe sono mal scritte e, spesso recitate in maniera poco convinta. Enrico Angel Face Brignano è il poco ispirato Primo Ministro del Paese voluto dal cognato al governo ed è addirittura fallimentare nel ruolo di padre in attesa con moglie che inveisce contro il mondo perché non sopporta il dolore. Anna Mazzamauro si limita a proporre, senza crederci troppo, il personaggio della nonna morente che resuscita quando scopre che la famiglia è ancora ricca: qualche smorfia, la voce grottesca e il dispiacere di non vederla mai impegnata in film più interessanti. A Ubaldo Pantani, maggiordomo e amico della famiglia, viene dato meno spazio come del resto all’altra testa pensante del gruppo, il piccolo Giulio Bartolomei, sempre genio della finanza ma, questa volta, con pochissime battute. Nemmeno l’inserimento di Paolo Rossi riesce a rendere più saporita questa minestra riscaldata. È il suocero di Enrico Brignano appena uscito di carcere per furti e quant’altro, visto male dai Tucci che temono uno scandalo mediatico. Parla come un eterno ubriaco, ha barba sfatta e la voglia di finire al più presto la sua partecipazione al film. Fausto Brizzi, coinvolto in brutte faccende con la Magistratura, non ha potuto difendere o presentare in promozione questa sua ultima creatura: forse, con le sue doti di affabulatore, ci avrebbe convinto che il film era un ottimo esempio di commedia all’italiana, ma così non è stato ed è rimasto il prodotto giudicato solo sui suoi scarsi valori. In Francia hanno già preparato la terza parte del film all’origine e probabilmente anche da noi accadrà lo stesso. I Tucci, che avevano vinto 100 milioni, credevano di avere perso tutto ma, grazie all’intervento del figlioletto e del maggiordomo, si trovano ancora più ricchi. Per evitare di pagare le tasse, decidono di creare un Principato dove il capofamiglia sarà il Principe ed il cognato il Primo Ministro: ovvie complicazioni.