Yuan Zhang è uno degli autori più coraggiosi del cinema cinese. La sua filmografia comprende titoli che hanno avuto a che fare con le forbici dei censori e, quasi tutte le volte che è riuscito a portare a termine un film, lo ha dovuto ai finanziamenti e agli appoggi stranieri, in prima linea Marco Müller, ora Direttore della Mostra di Venezia, ma anche produttore con la Downtown Pictures. La guerra dei fiori rossi (Kan shang qu hen mei) non è la sua opera migliore, visto che sono ben più ficcanti Mama (Mamma, 1992), su una madre che si rifiuta di affidare alla sanità pubblica il figlio minorato, Beijing za zhong (I bastardi di Pechino, 1993), sui gruppi musicali sgraditi al regime, e Guo nian hui jia (Diciassette anni, 1999), su una detenuta, condannata per lomicidio accidentale di unamica, che esce dalla prigione per una licenza premio e non comprende più il mondo che la circonda.
Giovani, anzi giovanissimi, sono anche i protagonisti di questa suo ultima fatica, girata in un asilo inserito in un grande complesso militare e ospedaliero. Uno dei piccoli ospiti, a cui volenterose maestre tentano di insegnare le regole della società ordinata e gerarchica, si ribella e, dallalto dei suoi quattro anni, respinge ogni tentativo di metterlo in riga. Finirà solo, addormentato su una pietra, allaria aperta. La metafora è chiara e la società cinese, vista come un grande recinto a metà fra il lager e la fabbrica, ne esce con unimmagine inquietante e terribile. La cosa che non funziona, invece, è la frammentazione del racconto, forse anche legata alla difficoltà di lavorare con i piccoli interpreti, e il rapporto non risolto fra la sbocciante sensualità dei corpi dei bimbetti e lo sguardo del regista, che non riesce a allontanare del tutto un velo dambiguità.
valutazione: 1 2 3 4 5