La Polonia, fra i paesi invasi dalla Germania nel corso della Seconda Guerra Mondiale, è quello che ha pagato un prezzo particolarmente alto in termini di sterminio degli ebrei. Nonostante la strenua resistenza dei partigiani del ghetto di Varsavia i nazisti riuscirono a distruggere quasi per intero questa comunità.
Molti polacchi, come ha testimoniato Claude Lanzmann (1925) nel suo monumentale documentario Shoah (Olocausto, 1985), non amavano gli ebrei e aiutarono o si mostrarono indifferenti ai crimini nazisti. Fra coloro che si mossero in direzione opposta ci fu il direttore dello zoo di Varsavia che, come ricordato da libro di Diane Ackerman The Zookeeper's Wife (La moglie del guardiano dello zoo, 2007), riuscì a salvare decine di ebrei con l’aiuto della moglie nascondendoli nei sotterranei del giardino zoologico devastato dai bombardamenti tedeschi e depredato da un comandante della SS che era anche capo zoologo del Reich, Uno strano personaggio che aveva in mente di far rinascere alcuni esemplari di animali estinti seguendo i principi della eugenetica nazista. La signora dello zoo di Varsavia, regia di Niki Caro, racconta, romanzandola alquanto, questa lotta impari che portò i due polacchi ad essere considerati giusti e come tali onorati dal governo dello Stato d’Israele. È una storia che il film dipana in maniera hollywoodiana, vale a dire con abilità professionale e scarsa cura per il dettaglio storico. Ad esempio, quasi sorvola sulle ragioni che spinsero i generali dell’Armata Rossa e quelli Alleati a fermare le truppe sull’altra sponda della Vistola e a lesinare i soccorsi agli insorti del ghetto consentendo ai nazisti di sterminarli. Del resto anche la condanna degli hitleriani è quasi del tutto limitata ai nazisti, senza coinvolgere i membri dell’esercito regolare. In altre parole un film teso e ben assimilabile, ma decisamente lontano da una seria analisi storica.