Letteratura, televisione e cinema italiani hanno aperto le porte, non da oggi, alla figura del commissario di polizia chiamato a investigare su delitti particolarmente efferati. Si potrebbe partire, andando a memoria, dal funzionario della questura di Roma Francesco "Don Ciccio" Ingravallo creato nel 1946 da Carlo Emilio Gadda (1893 – 1973) e reso protagonista di un film, (Un maledetto imbroglio) diretto da Pietro Germi e uscito nel 1959, sino a Salvo Montalbano inventato da Andrea Camilleri (1925) e protagonista si due serie fortunate, una di libri un’altra di telefilm.
Quasi tutti questi personaggi sono figli o nipoti del commissario Maigret, partorito dalla penna di Georges Simenon (1903 -1989) e immortalato in una lunga catena di film e telefilm. Fra i molti che sono arrivati da noi negli ultimi tempi c’è l’ispettore di fresca nomina Stucky, che compare in vari romanzi di Fulvio Ervas (1955), uno dei quali, Finché c’è prosecco c’è speranza, è stato scelto come base del film d’esordio da Antonio Padovan. Il neo funzionario è chiamato a indagare su un improbabile suicidio e su una serie di omicidi accaduti nel regno del prosecco. Riuscirà a scoprire l’autore dei delitti ma, come nelle migliori tradizioni del genere, rimarrà turbato dalle ragioni che stanno dietro le uccisioni, ragioni che secondo la sua coscienza profonda giustificano in pieno quei delitti. Il regista utilizza con sapienza il paesaggio delle colline vicine a Venezia in cui si scontrano industria e coltivazione intensiva delle viti, ciascuna delle due portatrice sia di ricchezza, sia di degrado ambientale. È un film ben costruito, immerso nelle nebbie e nel buio di una campagna invernale che sfrutta con grande sapienza un dei panorami più originali e meno utilizzati del nostro paese.