Veleno è il titolo dell’opera seconda di Diego Olivares dopo I Cinghiali di Portici (2003). Il novo film mette in campo una serie di eventi legati al dramma della terra dei fuochi: l’interramento illegale dei rifiuti tossici operato dalla camorra con la complicità di grandi aziende del nord Italia che lucrano sullo smaltimento di materiali pericolosi, il degrado di un’agricoltura presa nella tenaglia della violenza criminale e dell’avvelenamento della terra, il degrado della salute di migliaia di persone.
Su questo sfondo il regista colloca lo scontro fra un allevatore di bufale, minato da un tumore, e un gruppo criminale che mira alle sue terre per allargare una discarica in cui interrare nuovi veleni. Temi di grande attualità affrontati con un linguaggio classico e con un piglio che non teme di utilizzare i modi del racconto popolare. E’ proprio in questa scelta che il film, pregevole per molti aspetti, presenta i momenti di maggiore debolezza sfiorando il melodramma. Non è un caso se fra gli attori, oltre a una pregevole Luisa Ranieri e al gomorriano Salvatore Esposito, troviamo alcuni degli interpreti della popolare serie televisiva Un posto al sole. In altre parole c’è la decisione della regia di utilizzare un linguaggio popolare nel senso di proporre un prodotto facilmente apprezzabile dal grande pubblico. Scelta che conferma l’interesse di questo cineasta per i temi legati alla situazione campana, ai sua drammi e al suo folclore, inteso in maniera positiva. In questo l’opera mostra una coerenza e una scelta di campo decisamente pregevoli, scelta confermata e rafforzata dalla decisione di scartare il classico lieto fine per approdare a una chiusura dai toni problematici.