La paura era di essere di fronte ad un ennesimo film nello stile di Fast & Furious con auto distrutte, tanti effetti visivi speciali, stuntman veri protagonisti, poche idee e un po’ confuse. Poi inizia il film con sei minuti tirati in cui il giovane guidatore attende i complici per portarli velocemente verso un posto sicuro. Lui con auricolari ascolta la musica, la canticchia e mima in maniera perfetta.
Carica i complici, inizia un’incredibile gimkana per le vie della metropoli, mette fuori uso varie macchine della Polizia, esce senza fretta dal posto di guida come fosse un tranquillo padre che ha appena posteggiato la station wagon davanti al cancelletto del giardino, con bimbi festosi e l’idea di fare un barbecue. E’ qui l’originalità e la forza del film, difficilmente prevedibile e movimentato quasi all’eccesso nelle scene d’azione. Tutto avviene a ritmo musicale – sono 35 i pezzi proposti – come in un balletto in cui le coreografie sono interpretate da auto ma anche da altri mezzi. E’ raffinato, divertente, intelligente e, per certi versi, prende in giro i tanti autori europei che negli Stati Uniti si sono cimentati proprio in questo genere. Tuttavia Baby Driver - Il genio della fuga non va rinchiuso in un genere: è scritto per raccontare varie storie, per divertire e commuovere, per tenere in tensione lo spettatore per le quasi due ore della sua durata. A dirigere e ad essere l’unico responsabile dello script è il britannico Edgar Wright che dimostra rara padronanza del mezzo filmico e ottiene dagli attori la massima collaborazione. Nella stunt car spesso c’era anche lui – e si vede nella precisione dei particolari – e ha girato con gli attori moltissime scene che li riprendono fino ad un attimo prima che l’azione possa divenire pericolosa. Inizia come un action anni ’80 per trasformarsi in mille altre cose, dimostrando la capacità di saltare da un genere all’altro rimanendo sempre se stesso. Molto ben sviluppata la love story tra il giovane guidatore e la sua ragazza: è tenera, bella, coinvolgente, mai melodrammatica o melensa. Il regista pretende e ottiene molto dagli interpreti, costruisce la sceneggiatura tenendo presente le caratteristiche degli attori, primo fra tutti il quarantenne inglese Steven Price, vincitore tra l’altro di un Premio Oscar per Gravity (2013) di Alfonso Cuarón, un'opera che, complessivamente, si era aggiudicata sette statuette. Gli interpreti sono tutti molto ben scelti e l’incontro tra nuove leve ed interpreti più collaudati funziona più che bene. Il film è costato 34 milioni di dollari e, in un mese, ne ha incassati oltre 100 anche se non è ancora uscito in varie parti del mondo. Bello, divertente, originale, ben costruito. Un giovane pilota – con un grave difetto auditivo che gli crea un insopportabile ronzio in testa – considera la musica l’unica terapia per sedare quel rumore che sente in testa. Conosce un criminale a cui è costretto a legarsi e per lui si presta a fughe al fulmicotone, affidandosi nella guida al ritmo incalzante della sua musica preferita. Lavora per il boss, mette a rischio la propria vita ma, cosa ancora più grave, la libertà ed il suo amore, il tutto a causa di una rapina che tutti considerano sbagliata. Complicazioni.